Da oggi, 3 giugno, fino al 19 di questo stesso mese, nello Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto di Pavia è esposta la mostra “Renzo Collura (1920 – 1989). Una retrospettiva”, curata da Rolando Bellini, organizzata e promossa dal Centro Studi Milano ‘900 in collaborazione con il Settore Cultura del Comune di Pavia, e il patrocinio del Comune di Palermo.
Le opere esposte sono settanta, che vanno dagli anni ’70 al 1989, suddivise tra disegni e pitture. Quelle dell’ultimo periodo, denominate “Teoria delle ombre”, riflettono sulla vita e sulla sua caducità, interrogandosi provocatoriamente sulla prolixitas mortis; a contrappunto si pongono i “Paesaggi”, in uno sguardo che abbraccia l’esistere nella sua interezza, riportandone l’inquieta visione di una Sicilia storica e ferma tra luci e ombre, in un repertorio figurale essenziale, denso di ascolti e di memorie.
La pittura di Renzo Collura, intellettuale, artista e storico dell’arte, che ha viaggiato e attinto dalle terre che ha conosciuto, come l’Albania e la Grecia, dove ha studiato l’antichità classica e l’arte bizantina, rimanda al microcosmo siciliano, ed è ricca di citazioni e invenzioni fantasmatiche, con una raffinata cadenza cromatica e figurale che si declina in una originale impronta visionaria.
In occasione della mostra è stato edito un catalogo (“I Quaderni” del Centro Studi Milano ‘900) con i contributi critici di: Rolando Bellini, Piero Carbone, Philippe Daverio, Marco Marinacci, Erica Tamborini, Susanna Zatti.
Rolando Bellini nel testo in catalogo, scrive: “Renzo Collura, artista siciliano, era il direttore, mitico, della Civica Galleria d’Arte Moderna di Palermo negli anni eroici dell’ultimo dopoguerra. Un intellettuale e al tempo stesso un artista. Un pittore firmatario, a suo modo, di un mistero laico che parla siciliano – differenziandosi in tal modo dal longhiano mistero laico riguardante il bolognese Giorgio Morandi. Di padre in figlio: Renzo io lo sto conoscendo adesso tramite suo figlio, anch’egli artista – meglio ancora: pittore, come il padre – e scenografo di vaglio. Nello studio, Athos mi presenta opere grafiche (chine capziose, fantasmatiche, simili ai ricami delle nature simboliche del figlio) e quadri intrigantissimi (per lo più olii, e qualche sperimentazione declinabile in tecniche miste) dove ricorrono alcuni temi, trasfigurati in un ordinamento di ballata che commuove: le macerie che includono i danni dei secoli e dunque i mitici resti dell’antichità di cui la nobile Trinacria è colma; i residui dell’abbandono cui essa si è sottoposta con spirito di sacrificio per dilavare la propria anima saracena e ancor più i resti, frammentati, corrosi, abbandonati alla propria dissipazione, dovuti all’incuria dapprima borbonica e poi sabauda. Infine, l’abbandono ancor più spregevole della prima e peggio che mai della seconda repubblica. E in ultimo scritture pregiate, appunti segreti, le macerie dell’anima: ciò che diresti una messa a nudo dell’anima e della mente di quest’uomo singolarissimo. Che, per dirla alla Longhi, visse nella sua Sicilia tra Palermo e Grotte”.