Luca Alinari. L’anima ama la mano


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Secondo la convinzione pascaliana, che sfoca i confini tra razionalità e irrazionalità, “l’anima ama la mano” e “l’esprit de finesse” è strettamente a ciò legato, direttamente e naturalmente liberato in misura proporzionale a tale amore. Concetto di ampie capacità filosofiche ed etiche, così concentrato in una battuta è immediatamente riconducibile al fare arte di Luca Alinari (Firenze, 1943 – 2019), in relazione alla quale bisogna necessariamente aggiungere che si tratta di un amore reciproco e “la mano”, quale metafora di capacità tecnica e mezzo per la concretizzazione dello spirito, è ineccepibilmente addestrata a trasferire nella realtà la precisione di un pensiero, che diventa immagine pittorica. Materialità e immaterialità, un dato e il suo opposto in tutte le versioni etiche, estetiche, filosofiche, ma anche sociali, civili, umane, quesito rompicapo dell’uomo di tutti i tempi che Pascal sviscera e propone con teorie morali e religiose, in arte, nel caso specifico nell’arte di Alinari, assume connotazioni rese impalpabili dal suo personale, raffinato lirismo.

Luca Alinari, L’anima ama la mano, 2005, tecnica mista, acrilico con resine, su tela cm 50×39,5

E se per Robert Bresson, nel suo film “Pickpocket” del 1959, dietro la mano del borsaiolo, rapida e furtiva, c’è l’anima del borsaiolo, astuta e disonesta, significa che ognuno può fare davvero bene solo quanto è dettato dall’autenticità e dalla sincerità del proprio io, nel bene e nel male. Quando la mente e la mano “divorziano” tra loro e operano in modo disgiunto o contrario, il risultato è falso, artificioso e scadente. Sicché, le opere di Alinari, essendo frutto di esperienze culturali, emotive, personali vere, sono lo specchio della reale vocazione dell’artista e non l’aspetto di una vita alla rovescia. Solo che i luoghi dell’arte consentono di organizzare i pensieri secondo un ordine diverso e libero da vincoli esteriori e fisici, dove la mano materializzatrice può plasmare incondizionatamente una verità non camuffata dall’apparenza e totalmente fedele alla personale dialettica espressiva, nella costituzione di un rapporto di estraniazione e sfida con il mondo, con il tempo e lo spazio.

Nella sottigliezza delle argomentazioni, nell’arguzia delle proposizioni, nella finezza plastica, si coglie un’altra teoria-quesito di Pascal: “Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, tutta la faccia della terra sarebbe cambiata”; da ciò si intuisce un’ulteriore posizione in bilico sul perno dell’antitesi, al bivio delle scelte di fronte a cui ci si trova quotidianamente, consapevoli della diversità tra loro delle conseguenze derivanti dalle situazioni create dal libero arbitrio, in armonia oppure no col destino.

Di fondamentale importanza, anche se poco manifesto, è il ruolo dell’aspetto ludico nello stabilire le norme dell’organizzazione dei pensieri e i metodi espressivi; tendenza che diventa sentimento con peculiarità filtranti, da cui il nitore dell’esecuzione e dell’immagine finale, sulla tecnica così come sulla “gianità” delle cose, della vita, delle situazioni. E il gioco, quello non competitivo o con regole specifiche, imprime caratteristiche spontanee, serene, gioiose, incantate, che danno vita a favole, nelle quali ingenuità e malizia sono indistinte, conviventi nella stessa sostanza, anzi, sono una cosa sola.

La dualità, o doppiezza, la medaglia e il suo rovescio, la realtà e quell’altra, che potrebbe essere realtà al posto di questa, se si fosse effettuata la scelta opposta, si presentano con maggiore frequenza nelle opere di ultima generazione di Alinari. Realtà e irrealtà; sogno e fantasia; ironia e serietà; ottimismo e pessimismo; drammaticità e serenità; “essere o non essere”, se lo domandava anche Shakespeare; quale sia il soggetto principale e quale l’“altro” è difficile dirlo, specialmente quando essi diventano antropomorfi, speculari o sovrapposti, oppure fusi nello stesso corpo, con uguali atteggiamenti, con lo stesso sguardo. Forse la diversità non è poi così diversa, tanto che il negativo è l’impronta del positivo, e ognuno è il positivo di se stesso e il negativo dell’altro.

L’anima e la mano di Luca Alinari, unite indissolubilmente nel percorso, nella crescita, nella maturazione, sono sfociate in una rinnovata concezione formale e tecnica, oltre che contenutistica, delle opere, rispettando la consueta lealtà verso la personalità, naturale e coltivata, dell’autore.

Sistema cosmologico, taglio dell’opera, gesto pittorico sono ulteriormente raffinati e caratterizzati da notevoli preziosismi, come certe velature, trasparenze, intensità cromatiche profonde, che proiettano lo sguardo e l’emozione nell’infinito. La strutturazione dello spazio, apparentemente organizzato con semplicità, accosta campiture seriche a geometrie multiformi, a ritratti dall’ovale botticelliano e profili nobili; è una semplicità che maschera una ricchezza sapientemente trasformata e proposta con garbo, a cui partecipano pigmenti, materiali e tecniche, i più vari e disparati, da quelli tradizionali di pittura ad acqua o ad olio, agli acrilici, più moderni, ai ricami con fili di seta e perline, fino alla bocciardatura delle superfici e agli effetti bagnati con goccioline, ottenute con resine trasparenti o colorate.

Nonostante il prevalere del colore, il segno mantiene un’importanza fondamentale nell’impostazione architettonica e nella suddivisione dello spazio, segno che determina la partitura dell’opera senza sopraffare l’immagine. Le piccole geometrie tonde o rettangolari, piane o volumetriche, prospettiche, inserite come ad intaglio nella superficie dell’opera, si aprono su scorci di paesaggi fiabeschi in cui l’animo fanciullo trova rifugio tra forme e colori che si dibattono tra il carattere metafisico e quello fantastico, in armonia col piacere della partecipazione. Le linee curve, ondulate, raramente spigolose, segnano i confini tra i diversi spazi, tra gli elementi, tra le cose; disegnano forme, oggetti, persone; determinano ritmi; scandiscono il tempo, senza valore verosimile, non incalzante: un tempo che scorre senza tempo. L’articolazione dello spazio pittorico è morbida ed esso è illuminato da una luce sorgente dall’opera stessa, capace di eliminare le ombre e mettere in evidenza ogni dettaglio; quell’ombra, incorporea come l’anima, sempre unita e specchio mutevole di ciò che la determina, diventa essa stessa luce, colore, forma. Sono dipinti chiari e definiti, puliti, ricchi di riferimenti simbolici e di allusioni, in cui l’equilibrio formale e cromatico è ottenuto in maniera diversa in ogni opera, come una variazione sul tema, assicurato dalla stabilità dell’immagine speculare o dal bilanciamento compositivo, ma anche dalla suggestione di assenza di gravità, che permette la fluttuazione dei corpi senza peso in uno spazio fluido, avvolgente, amico.

Spazio che, nelle opere di Alinari, è l’espressione dell’anima, quale simbolo di entità non razionalmente sondabile dal vivere e dall’agire disarticolato e chiassoso, ma colmo di suggestioni, suoni, voci, racconti che la mano sapiente sa modellare a icone riconoscibili dai sensi, attraverso i quali le immagini ritornano all’anima, sotto forma di sentimenti ed emozioni. Perché ogni elemento che vi affiora lo fa con delicata fermezza, recando la sua melodia, il suo canto intimo, la sua personale poetica distinta da tutte le altre e con le quali favorisce una comunione, determinante armonie udibili solo nel silenzio e nella libertà del pensiero e del cuore. È tale la realtà concreta ed emotiva di ogni opera; uguale si ripete, con maggiore intensità, in un insieme di opere, in una mostra, essa stessa opera, composta da più elementi, quale macrocosmo che catalizza ogni microcosmo, ognuno nella propria autonomia, tutti uniti in un solo corpo, una sola anima. Un’anima dalle mille sfaccettature, prismatica, trasparente, limpida, profonda, che nel dipinto “L’anima ama la mano XXXVI” si manifesta esplicitamente, dolce ed eloquente; il viso, dal profilo catturato alla “Madonna dell’Eucarestia” del Botticelli, profilo che si ripete nella sottostante scollatura, è risolto con delicati passaggi tonali, lievi ombreggiature, dolci accensioni luminose che, insieme, determinano anche volumi e prospettive, mentre i rari segni si concentrano sulla bocca accennante un sorriso e, soprattutto, sull’arcata sopraciliare che sottolinea lo sguardo chiaro, indagatore, vero fulcro dell’opera e soggetto, punto ipnotico in cui convergere attenzione ed emotività, passaggio che si apre e conduce nei luoghi dell’infinito, sia dell’universo che dell’interiorità.

Altri elementi appena accennati con segni leggeri, emergono più spic­catamente ed incisivamente nell’opera “L’anima ama la mano XXXIV”, nell’insieme più corporea. La superficie tonda, segno della perfezione matematica dell’universo, è trattata con allusioni prospettiche che portano in primo piano il centro, il viso, nuovamente lo sguardo da cui parte lo sviluppo divergente, regolare, verso i bordi trasformando, virtualmente, il tondo in una sfera. Mistero e magia accompagnano questo moto espansivo che determina il distacco di diverse sezioni, per il cui effetto si allontanano tra loro e dal centro, lasciando spazio ad una massa più fluida, luminosa; l’acqua, dalla quale nasce la vita, la donna e un germoglio. E da un’onda delicata, ma straordinaria, sorge anche una Venere in “L’anima ama la mano XIII”; essa emerge dagli abissi limpidi del mare sconfinato e, per lo sforzo che la proietta fuori dalla superficie piana dell’opera, modifica il suo aspetto fisico. Intorno, altri scorci, altri mondi, altre situazioni, altri sogni, altre fantasie. Altre opere dentro l’opera e, all’interno di ognuna, sono situate casette bianche con tetti viola e finestrelle civettuole, sotto cieli azzurri e rosa, immerse in una natura rigogliosa e fantastica, avvolte in atmosfere assolutamente fiabesche.

In “L’anima ama la mano VIII” la campitura uniforme della superficie diventa parete, paravento che cinge un ambiente asettico per racchiudere, difendere, custodire la coppia unita in un solo corpo; il collegamento con il mondo è costituito dalle finestre che si aprono su paesaggi mossi dalla brezza dell’energia vitale e creativa; al centro, una geometria inconsueta disegna mezza monofora, attraverso la quale si assiste ad uno dei meravigliosi spettacoli naturali dei mutamenti luminosi sulle scansioni geometriche paesaggistiche. Il sole erutta con tutta violenza uno zampillo, originariamente di acqua che, salendo ed entrando in contatto col mondo e l’uomo, si trasforma in un albero meraviglioso, simbolo di buon auspicio con, agli apici di ogni protuberanza, o ramo, un fiore intelligente, forse un giglio. Ed in “L’anima ama la mano V” i gigli si moltiplicano, ingigantiscono, occupano tutto lo spazio, volteggiano liberi, mostrano tutta la loro eleganza, bellezza, nobiltà. Quali simbolo dello scettro del potere, di purezza, di splendore, di maestà, ma anche di fragilità e precarietà dell’esistenza, quindi di mestizia, circondano la casa, il focolare domestico, come un esercito non bellicoso, ma portatore di amore puro e inattaccabile.

Un’altra soluzione pittorica e prospettica, nonché contenutistica, è proposta nell’opera “L’anima ama la mano II” nella quale tre linee rette, partenti dalla metà di tre lati, convergono al centro dell’opera dividendola in altrettante sezioni, tre geometrie regolari, ognuna di un colore diverso, attribuendo il senso di ordine, equilibrio, ricerca della perfezione. I colori, intensi e delicati, producono effetti di luce ed ombra, eventi temporali quotidiani, ordinamento di situazioni preparate ad accogliere l’attività del pensiero, della riflessione e l’ascolto intimo della poesia del silenzio. Le due pareti dirimpettaie si specchiano tra loro e trasmettono reciprocamente le proprie caratteristiche; nettamente divise dalla retta verticale che forma l’angolo, l’una gialla, luminosa, accoglie la luce solare immessa dall’oblò dell’altra, la quale, invece, azzurra, anche se brillante, è rivestita dall’ombra proveniente dalla finestrella rettangolare di fronte. Si ripete il gioco degli opposti nelle simbologie geometriche e cromatiche, laddove il tondo indica il positivo, il giorno, il sole, la luce che tutto illumina, scopre, svela, anche sul suo contrario; dall’altro lato il rettangolo, la notte, il negativo che, per effetto del buio, indica silenzio, ordine delle cose, calma. Il loro incontro annulla gli eccessi, genera l’accensione della luce dell’equilibrio che parte dal vertice delle tre linee, punto focale, e raccoglie tutti i colori dello spettro diventando perfezione, ossia bianco, che si estende a formare il pavimento. In esso si muove la vita, naturale e spirituale, argomentata da figure e immagini, complessa, poetica e creativa, incalzante come a sfidare l’inclemenza temporale e, nello stesso tempo, incurante delle sue azioni e dei suoi effetti. Lo sguardo delle persone, sia quelli fissi sullo spettatore che quelli fissi sul loro opposto, sono telecamere implacabili interiori, poste a spiare sentimenti, emozioni, reazioni, trasalimenti. Immancabili, i teneri germogli e i rami adulti costituiscono la vegetazione viva, contrapposta alla natura quieta dei paesaggi dolci e smeraldini; è una flora irreale, che si trasforma in reale personaggio pensante; sono elementi che si evolvono flessuosi, si innalzano, producono frutti, si insinuano nello spazio, determinano mutamenti, formali e concettuali, come in “L’anima ama la mano IX”, dove diventano la struttura architettonica, materiale ed intellettuale, che sorregge l’intera opera, anche annullando la precarietà di un equilibrio fisicamente impossibile. Qui il sentimento dell’amore è evidenziato in modo esplicito dai ripetuti disegni del cuore: la tasca dei pantaloni del personaggio di destra; la posizione delle braccia delle due figure; il profilo tracciato dalla posizione speculare delle stesse. Al centro di ogni cuore è posto un elemento indicante la fermezza del pensiero, la capacità raziocinante, la luce dell’intelligenza.

La creatività di Luca Alinari si dipana in ogni opera come capitolo di un’opera più grande; non si tratta, però, di episodi, racconti, semplici scene per la costituzione di una totalità mai conclusa. Ognuna è un universo, con diverse modalità di comunicazione; in tutte il complesso mondo emotivo, spirituale, culturale del proprio autore vive intensamente attraverso le molteplici, infinite vibrazioni cromatiche e formali, sempre velate da misteri e segreti intimi e impenetrabili, dentro simbologie, generosamente offerte con spontaneità, ma sapientemente ed ironicamente ermetiche. Sincerità, chiarezza, gradevolezza, apparente immediatezza di appropriazione dell’immagine, accompagnano, invece, la profondità d’animo e di pensiero.

Anche così si esprime l’amore tra le diverse dimensioni umane, con il giusto equilibrio interiore, lo stare bene con se stessi, il saper esteriorizzare l’ego creativo, il possedere, perché conquistata con lavoro, sacrifici, fatica, una fondamentale autocritica e una conseguente messa in gioco ironica del proprio essere, degli eventi naturali, cosmici, emotivi, umani.

È la ferma consapevolezza dell’interazione tra mente e corpo.

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