Marc Chagall. La vie, un quadro filosofico


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Marc Chagall, La vie

Marc Chagall, La vie

Tra i massimi esponenti dell’arte moderna e delle avanguardie novecentesche, Marc Chagall è sicuramente un personaggio che si pone fra i grandi pittori del X secolo come Pablo Picasso, Salvator Dalì, Marcel Duchamps, Paul Klee, Vassilj Kandinsky, Piet Mondrian, Joan Mirò e pochi altri per coerenza, ispirazione, completezza, inventiva. Di origine russa, ma naturalizzato francese, Marc Chagall affronta sempre la vita come tema centrale, ma è con l’omonimo quadro ‘La Vie’ – dipinto nel 1964, già anziano ma attivissimo, un imponente olio su tela che ora è proprietà della Fondation Marguerite et Aimé Maeght di Saint-Paul-de-Vence – che riesca a sintetizzare al meglio la propria poetica. L’esistenza è dunque il segno-chiave dell’intero percorso creativo, perché ‘La Vie’ – anche noto come ‘Esquisse pour la vie’ con tutto quel che significa in pittura il termine esquisse, traducibile con abbozzo – è in fondo un ‘quadro filosofico’.

Insomma ‘La vie’ è un’opera che riunisce in sé i temi che fondanti dell’elaborazione estetica dello stesso Chagall; e i legami riscontrabili fra questo grande dipinto e gli argomenti cari al proprio tratto espressivo sembrano quasi a invitano a instaurare una relazione profonda con le altre opere di differenti tipologie che vengono eseguite nel corso degli anni. ‘La Vie’, restando anzitutto un ‘quadro filosofico, risulta pure un’autobiografia per immagini, dove si è tutti invitati a lanciare nuovi sguardi su un produzione iconograficamente ricchissima, giacché in vita Chagall si confronta quasi con l’intera modernità (simbolismo, espressionismo, fauvismo, surrealismo), costruendosi però un iter originalissimo, dove, infine, prevale la maestria del colore anche a far da filo conduttore, prima, durante e dopo ‘La Vie’, a una scelta inconsueta di dipinti, acquerelli, gouaches, litografie, ceramiche, tappezzerie, in cui la visione è un universo riconciliato grazie alla vita intesa come amore e arte.

Occorre quindi pensare a questo maestro – nato Moiche Zakharovitch Chagalov, il 7 luglio 1887 nei pressi di Vitebsk, in Bielorussia (poi integrata nell’Impero russo), cittadino francese dal 1937, morto il 28 Marzo 1985 a Saint-Paul – come a un artista che giunge a un quadro come ‘La Vie’ anche mediante incontri favorevoli con critici, mecenati, intellettuali, collezionisti: in particolare nell’ottobre 1947 Chagall incontra Aimé Maeght per la prima volta in occasione del vernissage della retrospettiva dedicatagli dal Museo d’Arte Moderna della Città di Parigi con la curatela di Jean Cassou: un evento per incoraggiare e celebrare il ritorno del pittore dopo gli anni di esilio negli Stati Uniti. Aimé Maeght ricorda Ida Chagall, nell’occasione, lo presenta a suo padre, benché la rivelazione sia, giorni dopo, nell’atelier dell’artista, quando la donna scopre le gouaches da lui dipinte negli Stati Uniti e in Messico: sessanta fogli bellissimi che ha la possibilità di portarsi a casa da rue Teheran. È così Aimé e Chagall discutono il progetto della prima mostra alla Galleria Maeght: un incontro che segna l’inizio di una collaborazione stretta e fiduciosa che a sua volta si trasforma in un’amicizia che non viene mai meno; la mostra vedrà la luce nel marzo 1950, l’anno in cui anche il pittore decide di andare a vivere a Vence vicino a Saint Paul.

Non passa molto tempo e Marguerite e Aimé Maeght, proprio a Saint Paul, creano la Fondation, per la quale chiedono a Chagall un grande dipinto, un ‘quadro filosofico’, come detto prima, onde connotare la futura sala a lui dedicata. L’artista crea perciò ‘La vie’ un olio su tela di circa tre metri per quattro: si tratta insomma di una immensa composizione vorticosa in cui gli eventi vissuti e sogni che da sempre abitano la psiche del pittore si mescolano: il nonno Rabbino, il matrimonio con Bella, la nascita di Ida, i due esodi (uno dalla Russia in carrozza,l’altro verso l’ America in nave), i musicisti, gli acrobati e i ballerini, una Parigi tutta in azzurro e alla fine del percorso, l’autore con la tavolozza che sembra visualizzare e contemplare questa epopea più grande delle avventure di qualsiasi altro uomo. Sopra di lui, mentre lo avvolge fra le braccia, nel quadro si nota Vava la sua compagna, l’utile alleata, che sembra nascere dai suoi quadri per lenire l’ansia e il tormento dell’artista.

Ne ‘La vie’ alla fine sono la festa e la gioia ad emanare in maniera arcana, alla stregua dei primordiali “graffiti”, nonostante lo stile decisamente moderno: e sembra una scena pedagogica dipinta per insegnare ai bambini a scoprire i piccoli dettagli che si celano su una grande tela. Nonostante la guerra, l’esilio, la tristezza, il dolore, questo, come altri lavori di Chagall, è fondamentale, essendo più o meno consciamente un ‘quadro filosofico’, per la consapevolezza attraverso cui porta gli osservatori a trovarvi anche la vitalità, il movimento, la forza, la dinamismo e soprattutto la speranza.

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