Realtà in equilibrio. Giuseppe Uncini


Stampa

La mostra di Giuseppe Uncini, ospitata alla Galleria Nazionale di Roma fino al 29 settembre, conclude il ciclo di mostre “Realtà in equilibrio”, curato da Giuseppe Appella.
Attraverso 58 sculture e 30 disegni datati 1957-2008, Appella ripercorre le varie tappe del cammino dell’artista scandito da Terre, Cementarmati, Ferrocementi, Strutture spazio, Strutturespazio-ambienti, Mattoni, Terrecementi, Ombre, Interspazi, Dimore delle cose, Dimore e muri d’ombra, Spazi di ferro, Spazicementi e Tralicci, Muri di cemento, Architetture, Telai-Artifici.
Soprattutto negli anni delle trasformazioni e degli ambigui simulacri di impossibili prospettive, Uncini altro non fa che analizzare gli strumenti a sua disposizione, appuntirli, in tutti i sensi, nel patrimonio culturale e nella quotidianità del suo operare.

Alla sua base del suo percorso è presente quel rigore concettuale che ristabilisce in forma il luogo-spazio (Cementarmato, 1962 – Architetture n. 217, 2006) ed elimina, ogni volta, nonostante la materia si presenti così com’è, dura-fredda- precaria-accidentata ed assuma, per coincidere con il contenuto, con i problemi di procedimenti, identificazioni e orientamenti, di articolazione e statica, di equilibrio e composizione, di peso e stabilità, di tempo e durata.
Occorre considerare questo pensiero della scultura, o ordine creativo, sotteso all’impostazione dei manufatti “su una frontalità spaziale assolutamente innovativa” che utilizza, a partire dalle gabbie, ciò che Emilio Villa chiama ideologia strumentale per una disciplina strutturale che si distingua come segno di identità, motivo primo, in Uncini, del suo fare in costante evoluzione e del riscontro frontale messo in atto da Cemento lamiera (1959) a Artifici n. 5 (2008), che accertano tangenze e differenze con il minimalismo da Uncini contraddetto proprio con il rifiuto della serialità o del modulo e la persistente “umana” progettualità presente fin dal 1960.

Questo principio, divenuto nel corso degli anni un pensiero dominante, acquisisce un ritmo di linguaggio che dal Cementarmato n. 10 (1961) si sedimenta nel Ferrocemento n. 14 (1963), dalla Parete interrotta (1971) si posiziona nelle Dimore (1982), dagli Spazi di ferro (1990) si colloca negli Spazicemento (1998), ovvero una immagine-oggetto che apprende il concetto di rarefazione per un criterio razionale. 
In tutto ciò, la luce magica di Roma ha un ruolo significante, e non solo per il lavoro svolto sulle ombre, spostando l’attenzione dalla forma reale alla forma virtuale dell’oggetto. La sua presenza, definita da Uncini, come l’ombra, “concetto spaziale” è strettamente connessa al colore che nelle prime opere sviluppa il forte sentimento dell’antico, del paesaggio costruito dall’uomo.
Accompagna la mostra un catalogo con l’introduzione della direttrice della Galleria Nazionale, Cristiana Collu, e con i contributi del curatore, Giuseppe Appella, di Bruno Corà e di Lara Conte.

Share Button