I frammenti di sogno di Antonio Vittorio Alfieri


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Spazio Vivace, innovativa e dinamica galleria d’arte a Novara, rende omaggio a uno dei suoi concittadini più noti: Antonio Vittorio Alfieri. Si intitola “Frammenti di sogno”, la mostra che inaugurerà sabato 25 maggio alle 18 in via Fratelli Rosselli 13, dove proseguirà fino al 5 giugno. 

La biografia di Alfieri recita che è nato a Roma sotto il segno del Leone, che compie la sua formazione artistica a Milano, Brera e a Modena dove si specializza in tecniche murarie, che è stato docente a Novara, che dal 1960 partecipa alla vita artistica nazionale e internazionale, che dal 1979 si dedica alla ricerca di nuove espressioni e che dal 1982 la sperimentazione tecnica sul trattamento dei supporti trova un naturale sviluppo di nuova applicabilità dell’esperienza nel rigore di una ritrovata pittura su tela.

Antonio Vittorio Alfieri, Sirena, 2010, 45×32, disegno su carta

Tuttavia per capire meglio il personaggio Alfieri bisogna fare un salto nel suo studio, che è proprio come uno immagina quello di un artista. Giusto disordine, quadri sparsi ovunque, appesi o poggiati a terra,lavori iniziati, finiti, abbandonati, fotografie, bozzetti, pennelli, tubetti, tavolozze. Una concessione alla modernità la presenza di un computer.

Lui parla (facendosi un po’ desiderare) e tu lo ascolti, affascinato perché ha molto da raccontare, avendo vissuto sulla sua pelle l’arte del secondo Novecento, quindi è una miniera di aneddoti, i più accattivanti, quelli sulle vite di chi ha conosciuto (Guttuso e Moore, tanto per citarne due); però osservi le pareti e ogni tanto ti distrai, perso nei particolari. Così ti imbatti in due foto: una che ritrae lui coi capelli lunghi e col barbone, a fianco l’altra di Salvador Dalì. Poi c’è anche quella di Paulo Roberto Falcão, il che ti fa capire la sua fede calcistica.

Già, perché proprio Dalì? Alfieri risponde: «È un pittore nel vero senso del termine, l’unico che ha saputo rendere concrete le sue immagini oniriche. Del Surrealismo ho amato Delvaux e un po’ meno Magritte, ma Dalì è una spanna sopra gli altri – spiega in un accento romanesco che anni di Piemonte non ha cancellato – tratta il colore e la linea come ho visto fare in pochi altri. Raffaello ad esempio. Davanti a un Raffaello che puoi dire? Nulla, resti estasiato e basta».

Chi osserva i quadri di Alfieri si trova coinvolto in un mondo a sé dove egli cerca di fare entrare gli artisti che ha amato e che lo hanno ispirato: si va dalla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello allo Scudo con testa di Medusa e alla Cena in Emmaus del Caravaggio, dall’Apollo e Dafne di Bernini alle Città metafisiche e ai manichini di De Chirico.

Le citazioni che ama disseminare non sono però pedestri e fini a sé stesse, bensì funzionali alla sua personale poetica in cui gioco, mimesi e allegoria danno vita a una felice mescolanza di immagini che allude alla condizione umana. Le opere di Alfieri partono da un’osservazione attenta dei fenomeni culturali circostanti, che nel suo caso sono le avanguardie storiche. Simpatizza per i simbolisti e per i surrealisti, ma non per questo si dimentica dei futuristi e dei metafisici.

Ci sono degli elementi comuni nei suoi quadri: i pesci, le conchiglie, gli elmi. Per Alfieri tutto è riconducibile all’acqua, alla vita, anche se «prima di me ci avevano già pensato meglio Leonardo e Piero della Francesca». I volti sono impersonali, quando ci sono, dato che sovente sono sostituiti da teste di animali come i già citati pesci o le mantidi.

In Alfieri «è come se il suo pennello si divertisse a stare pericolosamente in bilico tra l’innegabile evidenza della realtà e l’affascinante mistero della fantasia, tra la musicalità di una proposizione lirica e il gioco difficoltoso di una metafora», come ha scritto Lorella Giudici che lo conosce bene.

Se Montale affermava che la Storia non è magistra di niente che ci riguardi, quella di Antonio Vittorio Alfieri qualcosa insegna: un approccio al lavoro che affonda le radici in un’impostazione artigiana e ormai perduta del tempo. La sua è una bottega più che uno studio e lui, come gli artisti del Duecento e del Trecento, si è speso in prima persona per tramandare il suo sapere.

La meditazione dell’artista parte dal disegno e termina col colore (Vasari lo avrebbe messo nelle sue “Vite” se fosse vissuto nel Rinascimento). Alfieri è artista tout court, è consapevole che occorre conoscere la tecnica, dopodiché non ammette intermediari, nel senso che i suoi quadri sono a uso e consumo di chi li guarda. L’opera d’arte si spiega da sola, nell’accezione più genuinamente fenomenologica, perché è un linguaggio a sé stante che si apre all’esterno, rifuggendo ogni involuzione.

In “Frammenti di un sogno” Antonio Vittorio Alfieri si svela intimamente, poiché non presenta il prodotto finito, ma la parte iniziale di esso, cioè il disegno. E come in un archivio democratico, permette la libera consultazione. È in questo modo che l’artista novarese ama stringere la mano e interloquire con chi gli si trova accanto. 

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