Erin Shirreff


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Erin Shirreff, Untitled, 2011, Cenere, gesso Hydrocal, armatura metallica, 116,8×86,4×45,7cm, Foto Paul Litherland

Uno degli eventi collaterali ad ArteFiera di Bologna è la mostra dedicata a Erin Shirreff (Kelowna, Canada, 1975), la sua prima personale in Italia, che si tiene a Palazzo De’ Toschi, Salone Banca di Bologna di questa città dal 2 febbraio al 4 marzo.

La mostra, che è uno dei dieci eventi selezionati per il programma culturale di ART CITY Bologna 2018, è composta di opere inedite e realizzate per l’occasione, è realizzata a cura di Simone Menegoi ed è promossa dal Comune di Bologna e da BolognaFiere.

Sono esposti due video e un gruppo di sculture dal carattere più intimo. Un video è proiettato in dimensioni cinematografiche (5×8 metri). È intitolato Son (“figlio”, in inglese; ma la parola gioca sulla semi-omofonia con “sun”, sole), è un lungometraggio di animazione basato su un intreccio di immagini fisse e in movimento, reali e costruite e ispirato dall’eclisse totale del Sole osservabile negli Stati Uniti nella tarda estate del 2017 che l’artista vide.

L’altra opera, Many Moons [“Molte lune”], è un folto gruppo di oggetti di gesso scuro disposti su una superficie coperta di fogli di giornale: sono calchi dell’interno di un assortimento di bottiglie, tazze, ciotole e piatti. I calchi in gesso materializzano un vuoto, una lacuna; presentati come gruppo, formano una specie di paesaggio quotidiano invertito, il negativo di una natura morta

I video sono privi di sonoro ed estremamente curati nella composizione dell’immagine, hanno una presenza a tratti prossima a quella della pittura. Il loro passo lento e riflessivo li pone in antitesi al flusso incessante e frenetico di immagini che caratterizza la nostra cultura visiva. Si basano quasi sempre su una sola inquadratura, il cui soggetto (una scultura, un’architettura, un paesaggio, un corpo celeste, per citarne alcuni) attraversa una serie di mutamenti di atmosfera, luce e colore, come se fosse visto in diverse ore del giorno o stagioni dell’anno. Quasi sempre si tratta di effetti realizzati in studio a partire da stampe fotografiche. L’artista proietta sulle stampe luci e ombre, naturali e artificiali, ri-fotografandole centinaia di volte per documentare ogni passaggio del processo; monta infine digitalmente le immagini così ottenute in un flusso continuo. Questa singolare tecnica di animazione interroga il nostro attuale rapporto con la realtà. Ciò che vediamo nei video non è mai un oggetto, ma la fotografia di una fotografia dell’oggetto. L’artista non si cura di nascondere l’artificio, anzi, spesso lo mette volutamente in evidenza. Di conseguenza, l’attenzione dello spettatore continua a fluttuare da ciò che vede alle modalità della visione, dal contenuto al medium che lo trasmette. Nei video più recenti (come la doppia proiezione Concrete Buildings, 2016, o il nuovo video Son) il gioco si fa ancora più complesso: alle sequenze di animazione si alternano senza soluzione di continuità riprese in tempo reale, creando una dialettica fra gradi di realtà e di rappresentazione, fra “originale” e “copie”.

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