Nella sala Spazio Aperto di Palazzo Ducale a Genova, fino al 5 dicembre Paolo Bufalini (Roma, 1994) espone la sua mostra “Argo”, curata e prodotta da Sineglossa e realizzata con il sostegno di SIAE e Ministero della Cultura, nell’ambito del programma Per ChiCrea, in collaborazione con il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino, sotto la supervisione del Dr. Andrea Jouve.
Con Argo Paolo Bufalini porta avanti la sua indagine sulla rimediazione di materiali biografici attraverso dispositivi tecnologici, avviata con i progetti Land of Nod (2023) e beloved (2023). Il progetto espositivo applica strumenti di intelligenza artificiale generativa a una serie di dataset costituiti dalla digitalizzazione degli album di famiglia dell’artista, coprendo un arco temporale che va dagli anni Cinquanta ai primi Duemila. Una volta costituiti i dataset, l’artista li ha utilizzati per il training di modelli generativi text-to-image in grado di riprodurre le sembianze dei soggetti rappresentati negli album. Il risultato è la generazione di un passato aumentato, una rappresentazione fotograficamente credibile di qualcosa che non è stato, ma che potrebbe essere stato,in un’ambigua sovrapposizione tra fattuale e immaginato.
Gli album di famiglia diventano l’occasione per una riflessione più generale sugli archivi e sul loro potere di aprire finestre su mondi paralleli attraverso una conoscenza vertiginosa che ridefinisce la linearità del tempo. Ne risultano una serie di sintografie in cui i familiari dell’artista sono rappresentati, in diverse età della loro vita, nella posa di dormienti. L’ambiguità del sonno, in cui il soggetto è al tempo stesso presente e assente, riflette la più generale indeterminatezza dell’immagine e richiama la dimensione onirica sottesa all’intero progetto.
Argo, fin dal titolo, è inteso come un viaggio, un viaggio nel tempo e nella storia personale dell’artista, ma anche un viaggio nell’inconscio tecnologico, quello spazio contenente dati non direttamente interpretabili (in informatica latent space) su cui i modelli generativi elaborano le immagini attraverso associazioni precluse agli umani. Personalizzando i modelli generativi con materiali biografici ed emotivamente investiti, Bufalini opera una riappropriazione poetica dello strumento tecnologico, sottoponendo quegli stessi materiali all’imprevedibilità associativa delle correlazioni statistiche. L’opera scultorea che completa la mostra declina un’analoga idea di latenza su un piano più marcatamente processuale, presentando delle ampolle contenenti una soluzione acida in agitazione, in cui sono dissolti gioielli d’oro di seconda mano. Il processo chimico pone l’oro in una condizione di presenza ambigua, è fisicamente presente ma invisibile e reversibile allo stato originario, aprendo una dimensione ipotetica di nuove possibilità generative.