Mario Schifano in foto


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Sono esposte in mostra 30 foto ritoccate a pennarello, alla Corte d’Arte, Thiene (Vicenza)

Mario Schifano (Homs, 1934-Roma, 1998) è stato un pittore e regista italiano. Insieme a Franco Angeli e Tano Festa rappresentò un punto fondamentale della Pop Art italiana ed europea. Perfettamente inserito nel panorama culturale internazionale degli anni Sessanta, era reputato un artista prolifico, esuberante ed amante della mondanità. L’abitudine alle droghe che durò per tutta la sua vita gli valse l’etichetta di artista “maledetto”. Sono degli anni Sessanta i suoi quadri definiti “Paesaggi Anemici”, nei quali è la memoria ad evocare la rappresentazione della natura con piccoli particolari o scritte allusive e compaiono in embrione le rivisitazioni della storia dell’arte che lo portarono più tardi alle famose opere pittoriche sul futurismo. Così pure i suoi primi film in 16mmRound Trip e Reflex, che lo inseriscono, come figura centrale del cinema sperimentale italiano.

Mario Schifano, Off Shore, foto ritoccata a mano, 1990-1997

Ciò lo portò a collaborare con il regista Marco Ferreri. E fu amico dei Rolling Stones che gli dedicarono una loro canzone: Monkey Man. Da annoverare come tra le opere più riconoscibili e importanti le tele emulsionate, figlie di quei suoi continui scatti fotografici che accompagnano tutta la sua vita, tele dove vengono riproposte immagini televisive di consumo quotidiano, molteplici e a flusso continuo con leggeri interventi pittorici. Probabilmente l’uso della macchina fotografica gli derivò dalla frequentazione di Warhol e Rauschenberg quando nei primi anni Sessanta frequentò New York. Ma, mentre Warhol ritraeva ciò che lo circondava, il Nostro lo Schifano, riprendeva dalla TV l’imagerie che, poi, riproponeva. Faceva della Noia, del Distacco, della Indifferenza, che angustia l’essere umano, l’analisi esistenziale della sua vita. Quasi seguendo le teorie gnostiche sull’inganno del reale creato dal Demiurgo finto dio. Reale che va abbattuto per la ricerca della vera luce, del vero Dio. Questo ci porta alle fotografie della mostra. Esse sono scatti tratti da momenti della TV, nuovo dio indiscusso in quegli anni, e fatti casualmente, e poi, in un secondo momento, ripresi e rielaborati con un pennarello a tinta oro. Questa doratura rimanda all’oro delle opere bizantine del nostro patrimonio musivo, quello dei mosaici delle nostre chiese. È altresì da dirsi che pure altri artisti lavoravano sulle foto in quegli anni. Arnulf Rainer, appartenente agli inizi dell’Azionismo Viennese, si qualificò proprio per l’uso delle proprie fotografie scattate in momenti di tensione fisica sulla quale poi egli sviluppava linee forza che prolungavano l’idea di quelle tensioni muscolari. Qui in Schifano, invece, il distacco è massimo, non vi è partecipazione, bensì indifferenza verso la propria scelta artistica, verso l’oggetto foto e quindi l’uso dell’oro, benché arricchisca, rende distante il tutto, lo rende “ieratico” fuori dal mondo. E per fare questo Schifano usa la Technè (tecnica), il male moderno secondo il filosofo Heidegger, a cui tenta di dare soluzione grazie al suo intervento manuale. Quasi a voler rendere la foto più artistica e quindi umana più vicina a Noi.

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