Francesco Casorati. Tra magia e geometria


Stampa

“Tra magia e geometria” è il titolo della mostra dedicata a Francesco Casorati allestita, a Palazzo Lomellini a Carmagnola (TO) fino al 13 novembre, che ripercorre attraverso una trentina di opere, le tappe più significative della lunga carriera dell’artista, suddividendola in quattro sezioni principali dedicate alle sue opere pittoriche e selezionate per il loro significato emblematico dalla curatrice Elena Pontiggia.

Nella prima sala sono esposte le opere degli anni ‘50, come la visionaria “Torre di Babele” del 1952, metafora della guerra, dell’incapacità degli uomini di comprendersi, dipinta da Francesco Casorati appena diciottenne, eppure opera di un artista già maturo, informato, colto, come ricorda la curatrice. Nella seconda sala il periodo successivo caratterizzato dal colore blu, il colore della lontananza e del sogno, tra cui emerge “Il Grande Passero”, opera dipinta nel 1968.

La mostra prosegue al secondo piano con la sala dedicata ad una serie di opere dipinte ad acrilico dove i soggetti sospesi sospesi come in “Labirinto di carta” del 1984, e infine nell’ultima sala dove è esposta la produzione più recente caratterizzata dal ritorno alla pittura ad olio, che gli permetteva vibrazioni cromatiche e materiche più liriche, come nel poetico “Sette barche e tre pesci” del 2010.

In questa mostra viene messo in evidenza come la pittura di Francesco Casorati abbia la capacità di dialogare con le tendenze a lui contemporanee senza appartenere a nessuna di esse e anche quando, inizio anni sessanta, nei suoi quadri linee e volumi tendono a dissolversi, conservano intatte le proprie radici e genesi figurative e narrative. Anche il periodo post-informale, che attraversa nella seconda metà degli anni Sessanta, ha un carattere del tutto personale di Casorati.

La monocromia che l’artista privilegia sottrae l’immagine alla banale colorazione della vita quotidiana e al realismo immediato, altrettanto banale. Per oltre un decennio, fra gli anni Settanta e Ottanta, Francesco abbandona la tecnica ad olio a favore dell’acrilico, funzionale per ottenere una tessitura quasi monocromatica e rarefatta, su cui proiettare la nuova fiaba visuale dalle tonalità atimbriche e dal rigore architettonico metafisico. L’ultima sezione, introdotta dal trittico “Burrasca” del 1986, è quella del ritorno alla pittura ad olio, a ritmi espressivi, ad affabulazioni sceniche, a vibrazioni cromatiche nuove e intrise di “poetica irragionevolezza”, rimanendo intatto il controllo mentale e formale della composizione. Il fil rouge che accomuna le diverse fasi, arrivando alle opere degli anni 2000, è il carattere antinaturalistico della intera rappresentazione pittorica di Francesco, ad un tempo logica e lirica, mentale e visionaria, fiabesca e astratta, autonoma dalle correnti artistiche, ma aperta al dialogo, pur sui generis, con alcune di queste quando non lontane dalla sua poetica e visione del mondo.

Share Button