Nerina Toci. Il nero come luce possibile


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La mostra della fotografa Nerina Toci (Tirana, 1988), dal titolo “Il nero come luce possibile”, promossa dall’Associazione Quattro Coronati e dalla Fondazione Mudima di Milano e realizzata a cura di Mauro Daniele Lucchesi e Davide Di Maggio, è esposta a Palazzo Ducale di Massa fino al 1 luglio prossimo.

Il percorso espositivo presenta un’ampia selezione di fotografie dove il bianco e il nero sono il filo conduttore principale. “Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera”, scriveva Johann Wolfgang Goethe.

Le figure, corpi e anime, fluttuano sulla superficie dei lavori fotografici di questa artista albanese già molto apprezzata in ambito internazionale, portando con sé il dolore e la passione che le hanno generate. La luce e il buio sono costantemente presenti, ma nessuno dei due prevale sull’altro, anzi spesso il buio, il nero, “illumina” di più, quasi a sottolineare che non vi è un abisso, un buco nero, ma un pensiero che va oltre la linea di sofferenza e mistero, delimitata dalla superficie della fotografia.

“Questi scatti sono il segno di una ricerca intensa – spiegano i due curatori – che non dà spazio a preziosismi, lasciando ben visibili le imperfezioni del suo corpo, anche Nerina Toci, “ricama” i bordi e le imperfezioni del corpo. La bellezza canonica non abita le sue immagini, al contrario riporta a canoni di bellezza classica, quasi onirica. Esiste un’evidenza nuda e cruda, senza veli e compromessi, oltre gli stereotipi e il non vero. I suoi lavori, – proseguono – si risolvono in una evocazione quasi drammatica, misteriosa, che fa della sofferenza interiore una sorta di simbolo del destino. La fotografa lavora quindi su una sorta di sacralità del corpo femminile e sulla fisicità dello spirito. A partire dal nero, supera l’effimero e rende visibile la durata del transito umano in questa vita. I corpi come ultimo bastione della nostra capacità di conoscere e di esprimere il mondo di fronte alla sua crescente impenetrabilità, le figure come manichini, ciò che rimane dopo che la vita è passata.
Le ombre, le geometrie, i boschi e i corpi si susseguono nei suoi lavori, testimoni del mondo di Toci, che osserva con estrema attenzione tutto quello che accade attorno a lei e lo “modifica” come vorrebbe che fosse. Il suo occhio “sente” ciò che noi non vediamo e ci ricorda attraverso le sue immagini – concludono Mauro Daniele Lucchesi e Davide Di Maggio – come fare a essere e a diventare, nella gioia e nel dolore, esseri umani”.

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