Christian Frosi. La Stanza Vuota


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Alla GAMeC, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, fino al 25 settembre è ospitata la mostra di Christian Frosi, “La stanza vuota” a cura di Nicola Ricciardi.

Si tratta della prima esposizione museale del lavoro di Christian Frosi (Milano, 1973), a dieci anni dal suo ritiro dal mondo dell’arte. Il percorso espositivo presenta per la prima volta insieme oltre 30 opere realizzate in poco più di dieci anni di attività.

Christian FrosiHHH, 2007sabbia ceramizzata nera, hula hoop, sfera di acciaio, balsadimensioni variabilies. unicoCourtesy l’artista e ZERO…, Milano

Le opere qui esposte raccontano la transitorietà, elemento costante della sua produzione artistica. Il percorso di mostra comprende lavori diventati iconici, come la nuvola di schiuma prodotta per la prima personale a Milano (Foam, 2003), e altri meno conosciuti, tutti costruiti attorno a principi di precarietà, fuggevolezza, evanescenza, che ritroviamo anche nella carriera dell’artista. L’inizio del percorso di Frosi è facilmente documentabile e coincide con la conclusione degli studi a Brera nel 1999, mentre le sue ultime tappe professionali sono, a partire dal2012, sempre meno rintracciabili. Da quell’anno, seppur non ci sia un momento preciso, Christian Frosi smette di essere un artista: sceglie di non produrre, di non partecipare, di sottrarsi alla storia dell’arte, alle sue circostanze e ai suoi attori. Frosi si è lentamente e inesorabilmente reso irraggiungibile, troncando qualsiasi comunicazione con il mondo dell’arte, unendosi, senza una ragione evidente, alla schiera dei dropout, di coloro che, nella definizione di Alexander Koch, “in un determinato momento X sono stati localizzabili nel campo dell’arte e in un momento Y, successivo nel tempo, non lo sono stati più”. Il momento X di Frosi coincide con numerose mostre personali sia in Italia che all’estero e con la partecipazione ad alcune delle collettive che hanno finito per definire gli artisti italiani della sua generazione: dalla prima Triennale di Torino, a cura di Francesco Bonami e Carolyn Christov-Bakargiev (2005), a Sindrome Italiana, la jeune création artistique italienne al Magasin – Centre National d’Art contemporain di Grenoble (2010), fino a Fuoriclasse, la mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Milano curata da Luca Cerizza e dedicata agli allievi di Alberto Garutti. Il momento Y, invece, coincide col giorno d’oggi.

La scelta di occuparsi di Frosi, dopo quasi dieci anni di silenzio e inaccessibilità, nasce innanzitutto dalla necessità di ricordare, proteggere, conservare il suo lavoro in modo che si possa continuare a osservare, contestualizzare e magari capire sempre meglio l’artista. La seconda ragione sta nella volontà di leggere la sua invisibilità alla luce di un presente artistico e sociale in cui si è chiamati a esserci sempre, in cui il silenzio è una scelta sempre più impervia e rara. Osservare queste pratiche aiuta a comprendere le innumerevoli sfumature che nell’arte assumono la fuga, il vuoto, che nel caso di Christian Frosi hanno trovato compensazione in una produzione enigmatica e transitoria, capace di dominare per dieci anni la scena artistica.

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