Salvatore Vitale. Decompressed Prism


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Nella sede della FMAV, Fondazione Modena Arti Visive, Palazzo Santa Margherita a Modena, fino al 5 giugno prossimo, Salvatore Vitale (Palermo, 1986) in Decompressed Prism, a cura di Chiara Dall’Olio, combina in un’unica grande installazione site-specific, elementi di finzione, documenti e dati reali, immagini fisse e in movimento, filmati e ricerche d’archivio al fine di svelare i paradossi contenuti nella logica sistemica del monitoraggio sociale. Vitale con il suo lavoro ci mostra come la società in cui viviamo assomigli sempre più ad un aeroporto, in cui la vita pubblica è sottoposta a più stretti livelli di sorveglianza e sicurezza. Gli aeroporti sono infatti i luoghi più controllati e pur essendo zone di transito, è qui che la sorveglianza ha un impatto profondo sul comportamento umano: i viaggiatori sono monitorati nella loro esperienza fisica, costantemente osservati dalle telecamere, e nella loro dimensione di dati, analizzati e monitorati da tecnologie biometriche di diverso tipo per motivi di sicurezza. Il suo progetto invita quindi ad una riflessione su possibili contro-strategie che noi, cittadini e soggetti politici, possiamo intraprendere per promuovere una maggiore trasparenza dei sistemi che regolano la società e che modellano i codici e i comportamenti individuali.

L’installazione ideata per Palazzo Santa Margherita comprende un video a due canali inedito accompagnato da un sound design a cinque canali (tra cui voce, suoni di ambiente e musica) e una scultura in plexiglass, allestiti per costruire una narrativa coerente ma non lineare. L’idea dell’installazione è quella di immaginare una normalizzazione della sorveglianza sulla scia di un nuovo realismo. Il progetto, accompagnato da alcuni dei testi di filosofi e sociologi contemporanei che riflettono sul tema della sorveglianza e dell’intelligenza artificiale, mira a dimostrare come la sicurezza e le dinamiche di sorveglianza rizomatica, insieme al loro impatto sul comportamento umano, si stiano normalizzando in modi che dovrebbero destare una sempre maggiore preoccupazione.

L’opera è multiforme: materiali di ricerca, scultura, immagini fisse e in movimento coesistono, immersi in un grande open space verde “green screen”. L’artista ci trasporta in un inquietante nuovo realismo in cui è avvenuta una smaterializzazione dei corpi, trasformati in dati biometrici. Il film ha una durata di circa trenta minuti, diviso in diversi capitoli, in cui il suono è pervasivo e permette di immergersi completamente nel flusso di coscienza del protagonista/avatar, alter ego dell’io digitale di ognuno di noi.

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