Arturo Nathan. Il contemplatore solitario


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Il Mart, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, in occasione del Giorno della memoria e fino al 1 marzo, dedica un Focus ad Arturo Nathan, pittore triestino deportato e morto in un campo di concentramento. Attorno a una ventina di opere, si costituisce un progetto espositivo che rende conto della breve carriera dell’artista, con opere realizzate negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. A cura di Alessandra Tiddia, la mostra è realizzata in collaborazione con Alessandro Rosada e la Galleria Torbandena di Trieste.

Arturo Nathan, L’esiliato, 1928, Collezione Barilla Parma


Arturo Nathan nasce a Trieste nel 1891, da genitori di famiglia ebraica. In contatto con gli ambienti artistici e letterari, partecipa a numerose mostre. Conosce Giorgio de Chirico, le cui atmosfere sospese e di inquietante mistero insieme all’amore per il passato classico ispirano la sua ricerca. Tra il 1926 e il 1929 si avvicina al post-espressionismo e al Realismo magico. In seguito alla promulgazione delle leggi razziali dell’Italia fascista, è costretto al confino, prima nelle Marche e poi nel campo di prigionia di Carpi. L’ultima opera, “L’attesa”, è del 1940 e raffigura un uomo di spalle contro un tramonto infuocato, quasi un presagio. Nel 1944 viene deportato nel campo di concentramento di Bergen Belsen e poi trasferito in quello di Biberach am Riss, dove muore il 25 novembre 1944.
Spiega la curatrice Alessandra Tiddia nel catalogo che accompagna la mostra: “[…] verrà cancellato dalla vita pubblica. Non si potrà più recensire nessuna mostra dove espongono artisti ebrei, la partecipazione costante alle Biennali veneziane verrà interrotta, i suoi quadri al Museo Revoltella confinati in una stanza chiusa insieme a quelli degli altri pittori ebrei: la sua attività di artista proseguirà, nei disegni e in alcuni dipinti, e nella poesia, ma senza nessun riscontro pubblico.”
Nelle pitture e nei disegni il mistero metafisico, che influenza tutto il lavoro di Nathan, diventa cupo e malinconico.
Scrive Vittorio Sgarbi nel testo in catalogo: “La pittura di Nathan è metafisica in senso diverso da quello del primo de Chirico, con il quale condivide l’ascendenza romantica. Nathan contrappone l’uomo e la natura, il limite della nostra vita e l’infinità della natura”.
Figure solitarie abitano paesaggi stranianti il cui comune denominatore è l’inquietudine esistenziale.
“Relitti, frammenti archeologici, architetture in rovina, cavalli stramazzati, velieri abbandonati, come dopo il Giudizio universale.”

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