A Palazzo Franchetti di Venezia, fino al 10 luglio è esposta la mostra di capolavori del XX secolo che va dalla Metafisica di Giorgio de Chirico all’originale percorso di Giorgio Morandi, dal Futurismo di Giacomo Balla al Surrealismo di René Magritte, dal Bauhaus di Paul Klee alla città di New York di Franz Kline, dai colori di Joan Mirò all’arte materica di Leoncillo. Questa mostra porta alla luce i protagonisti dello scorso secolo attraverso una serie di lavori interpretati per mezzo delle loro parole. Un’opportunità per mettere in discussione il futuro dell’arte stessa, che ad esempio secondo Giorgio de Chirico “sarà esattamente lo stesso della poesia, della musica e della filosofia: creare sensazioni sconosciute in passato, spogliare l’arte dal comune e dall’accettato, da qualsiasi oggetto in favore di una sintesi estetica”, una operazione non a caso eseguita da Andy Warhol anni dopo. Una riflessione non solo sull’arte in sé, ma anche sulle grandi collezioni private di oggi.
Si tratta di un viaggio attraverso opere importanti e raramente viste, ma soprattutto un’occasione per riflettere sull’arte e sul suo futuro attraverso la voce dei protagonisti del Novecento. Un mormorio che si ode dalla prima sala, nella quale tra i tempi e i toni di nature morte e paesaggi, le parole di Giorgio Morandi in un’intervista a The Voice of America del 1957 suggeriscono come “il possibile compito educativo delle arti figurative” è “specialmente nel presente, comunicare le immagini e i sentimenti che il mondo visibile suscita in noi”.
Un riflesso silenzioso interrotto solo dall’elogio alla velocità, del movimento e della tecnologia di Giacomo Balla e Gino Severini, protagonisti con le loro opere, collocate nella stanza accanto, dove vediamo emergere come “i quadri futuristi nel distruggere l’immobilità di qualsiasi cosa” diventa “trasportata nell’imponente caos delle azioni universali e dinamiche”. Un movimento che risuona anche nel colore delle tele e “nell’immediata irruzione dell’infinito nel finito” di Joan Mirò che fa da contrappunto all’arte calma di Paul Klee, presentata con Die Rolle (1930), dipinto durante uno degli ultimi anni di insegnamento al Bauhaus, un’esperienza conclusasi nel 1931. L’atmosfera gioiosa ci trasporta altrove, in un tributo a una Venezia di altri tempi che nelle sue diverse ripetizioni guarda a Canaletto, ma sta anche nel mezzo del pensiero Metafisico.
Nella stanza successiva, ci si muove nell’asse della storia dell’arte, che lascia Parigi, trasformando New York nella nuova capitale mondiale e si distacca dalla figurazione per proporre un nuovo dipinto che ha come protagonista l’astrazione. Questi sono gli anni dell’Espressionismo Astratto e di Franz Kline negli Stati Uniti, a cui corrisponde la fase Informale, rappresentata da Georges Mathieu e Leoncillo, in Europa.
L’itinerario espositivo finisce con la grande rivoluzione degli anni Sessanta e la stanza dedicata a Andy Warhol. Alla fine del viaggio artistico presentato nella mostra, nel giardino che si affaccia sul Canal Grande, i totem di Robert Sebastian Matta, custodi di un futuro che è già oggi, vegliano su Palazzo Franchetti.