A Bologna il ritorno del Polittico Griffoni, capolavoro dell’Officina Ferrarese


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Terminato il lockdown, la vita cerca di tornare pian piano alla normalità. Un segnale è costituito dalla riapertura delle biblioteche, dei musei, delle gallerie e delle mostre, il cui calendario è stato completamente stravolto dalla pandemia. Una delle più attese doveva essere inaugurata il 12 marzo scorso. Il taglio del nastro de “La riscoperta di un capolavoro” è invece avvenuto il 18 maggio a Palazzo Fava di Bologna, dove, tra l’altro, è anche possibile vedere un ciclo di affreschi dei Carracci.

Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti, Polittico Griffoni, 1470-1472, tempera su tavola (particolare della predella con le Storie di San Vincenzo Ferrer di Ercole de’ Roberti, Pinacoteca Vaticana, Roma)

Si tratta di una mostra che a distanza di quasi tre secoli rimette insieme le sedici tavole di un’opera monumentale che aveva subito un’autentica diaspora, finendo nelle collezioni museali di tutto il mondo. Protagonista in questione è il Polittico Griffoni, la celebre pala d’altare realizzata tra il 1470 e il 1472 da Francesco del Cossa e da Ercole de’ Roberti, assieme a Cosmè Tura, i massimi esponenti della cosiddetta scuola ferrarese. 

La storia del Polittico è a dir poco travagliata. Parte da Floriano Griffoni, appartenente a una nobile famiglia bolognese, il quale chiama a sé un giovane artista conosciuto qualche anno prima per affidargli il compito di eseguire la pala d’altare che avrebbe dedicato a San Vincenzo Ferrer, frate domenicano canonizzato nel 1455. L’opera sarebbe andata a decorare la cappella all’interno della basilica di San Petronio. 

Quel giovane artista era Francesco del Cossa, reduce dagli affreschi di Palazzo Schifanoia a Ferrara, che nel frattempo si era trasferito a Bologna per alcune frizioni con la corte estense, non pienamente soddisfatta del suo lavoro a Schifanoia. Per il Polittico Griffoni egli ideò un’architettura classica nella sua struttura, ovvero che permettesse alle tavole di essere valorizzate al meglio, ma rivoluzionaria nel suo svolgimento iconografico. A cominciare dal centrale San Vincenzo Ferrer, affiancato alla sua destra da San Pietro e alla sua sinistra da San Giovanni Battista. Nella parte superiore la Crocifissione e i santi Floriano e Lucia. 

L’autore della predella con le storie di San Vincenzo Ferrer è un altro ferrarese, più giovane di Cossa con il quale aveva lavorato a Palazzo Schifanoia: Ercole de’ Roberti. Assistiamo a un’ulteriore evoluzione del linguaggio pittorico: le figure sono più scheggiate, lontane dalle eleganti linee dei fiorentini e dal morbido uso del colore tipico dei veneti; i paesaggi, pur seguendo le regole della prospettiva, appaiono irreali e al loro interno traspare un senso di precarietà, quasi ad anticipare la crisi del Rinascimento che avrebbe portato alla Maniera. 

A far luce sulle vicende del Polittico Griffoni è stato Roberto Longhi in “Officina Ferrarese”, saggio il cui già evocativo titolo trasporta in un mondo che pretende una doverosa scoperta. È proprio Longhi nel 1934 ad avere proposto per primo una ricostruzione plausibile del nostro Polittico, oltre a entrare nel merito di una scuola che fino ad allora era stata presa poco in considerazione o quantomeno non giudicata tale da essere comparata alle contemporanee esperienze di Firenze e di Venezia. 

C’è da dire che la presenza di Cossa e de’ Roberti a Bologna contribuì in maniera sostanziale allo sviluppo della cultura figurativa felsinea che grazie ai due artisti poté beneficiare delle innovazioni ferraresi, pur con un occhio rivolto alla Toscana, Piero della Francesca in primis. Essa tuttavia non riuscì a liberarsi appieno di uno spirito che potremmo definire sinteticamente più materiale che spirituale. In tal senso va letto il giudizio che ne ha dato Mauro Lucco riguardo alla «gravitas morale delle figure che non sa di aula umanistica, ma di antica saggezza rurale».

Il Polittico Griffoni è un esempio illuminante, forse più nella parte di de’ Roberti che in quella di Cossa, ancora legato alla «natura stalagmitica» (Longhi) che strizza l’occhio alla miniatura e alla diffusione delle nascenti arti grafiche. Non è un caso se Niccolò dell’Arca nei volti e nei gesti delle statue sfigurate dal dolore nel Compianto su Cristo morto, il gruppo scultoreo nella chiesa di Santa Maria della Vita, si sia ispirato agli affreschi di Ercole de’ Roberti nella ormai perduta Cappella Garganelli. 

Il Polittico Griffoni rimase in San Petronio sino al 1725, anno in cui fu smembrato dopo essere passato di proprietà alla famiglia Aldrovandi prima e Cospi poi. In quello stesso periodo fu distrutta anche la cornice lignea dell’intagliatore Agostino de Marchi da Crema. Nella fattispecie fu Monsignore Pompeo Aldrovandi a dare avvio alla dispersione delle sedici tavole che finirono nelle sale di nove musei. 

Eccoli nel dettaglio: San Vincenzo Ferrer alla National Gallery di Londra; San Pietro e San Giovanni Battista alla Pinacoteca di Brera; San Floriano, Santa Lucia e la Crocifissione alla National Gallery of Art di Washington; l’angelo e la Vergine annuncianti al Museo di Villa Cagnola a Gazzada; le storie di San Vincenzo Ferrer alla Pinacoteca Vaticana; San Michele Arcangelo e Sant’Apollonia al Louvre; Sant’Antonio Abate al Museum Boymans Van Beuningen a Rotterdam; San Petronio alla Pinacoteca nazionale di Ferrara; Santa Caterina d’Alessandria, San Girolamo e San Giorgio alla Fondazione Cini di Venezia. 

Ora, dopo oltre due anni, questo capolavoro ritorna a essere visibile così com’era, grazie ai prestiti di questi musei. La mostra di Palazzo Fava è costituita da due sezioni, una delle quali è “Il Polittico Griffoni rinasce a Bologna”, focalizzata sulla pala d’altare e curata da Mauro Natale in collaborazione con Cecilia Cavalca, con il sostegno della Basilica di San Petronio, nella quale sarà possibile vedere da vicino le singole tavole originali. 

Al Piano Nobile di Palazzo Fava saranno quindi esposte le tavole del Polittico Griffoni, mentre al secondo piano i visitatori potranno ammirare la ri-materializzazione dell’opera, così da rendersi conto com’era un tempo. La mostra è completata dalla scannerizzazione digitale del Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca, esemplare unico di statuaria in terracotta del Rinascimento bolognese. 

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