Hostile Environment (s)


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“Hostile Environment”(s) è frutto dell’indagine condotta in Alto Adige dal ricercatore e architetto Lorenzo Pezzani (Trento, 1982), nell’ambito della quarta edizione del One Year-Long Research Project, promosso da AR/GE Kunst, Galleria Museo di Bolzano, dove è esposta la mostra fino all’8 febbraio 2020.

Lorenzo Pezzani, Hostile environnement, AZ-composite final-1-1

La mostra è realizzata a cura di Emanuele Guidi, con la collaborazione di Z33 House for Contemporary Art, Design and Architecture, Hasselt e con il supporto di: Provincia Autonoma di Bolzano, Ripartizione Cultura; Regione Autonoma Trentino-Alto Adige; British Academy, Small Research Grant; Goldsmiths’ Public Engagement Fund; Fondazione Cassa di Risparmio; Comune di Bolzano, Ripartizione Cultura; Pasticceria Hofer, Bolzano.

Si tratta di un progetto di Lorenzo Pezzani, con il contributo di Dimitra Andritsou, Riccardo Badano, Geoffrey Alan Boyce, Samuel N. Chambers e Sarah Launius, Forensic Oceanography, Lodovica Guarnieri, Tom James, Tom Joyes, Faiza Ahmad Khan, Stefanos Levidis, il Multiple Mobilities Research Cluster, i partecipanti al workshop “Tempi Morti”, Tara Plath, Robert Preusse, Hanna Rullmann, Martina Tazzioli e Avi Varma. La nozione di “ambiente ostile” è stata introdotta per la prima volta nell’ambito del dibattito sulle migrazioni in Gran Bretagna nel 2012, ad indicare una serie di leggi che negano ai migranti accesso al lavoro, alla casa, ai servizi e all’educazione. Da quel momento, l’erosione di ogni forma di protezione sociale ha reso le città del Nord Globale, e non solo, spazi intollerabili di ostilità per chi viene classificato come outsider. Allo stesso tempo, ambienti “naturali” come oceani, deserti e catene montuose, incluse le Alpi, hanno subito un processo di crescente militarizzazione, che spingono i migranti ad attraversare zone sempre più pericolose, spesso con conseguenze fatali.
L’idea di ambiente ostile viene qui rivista come chiave analitica per cogliere tali processi, lontani ma interconnessi, attraverso i quali spazi “naturali” ed urbani vengono trasformati in armi attraverso tecnologie di sorveglianza, il ricorso strategico a geografie legali, protocolli burocratici e pratiche di estrazione e sviluppo di matrice coloniale.
Spaziando dalle tecniche di investigazione forense alla ricerca e insegnamento accademico, fino alle pratiche di attivismo, la mostra mira a indagare e decifrare l’ecologia politica delle migrazioni e della violenza dei confini, ricostruendo con accuratezza una geografia comparativa di vari ambienti-confine, in un movimento continuo tra ecosistemi locali e distanti, e viceversa.
L’Atlas of Critical Habitats raccoglie una collezione in continua espansione di documenti legali, mappe, un modello 3D e un archivio mediale che esplora pratiche di controllo della frontiera che non si concentrano su soggetti specifici, ma piuttosto mirano a intervenire sugli ambienti che tali soggetti attraversano o abitano. Organizzati secondo un sistema di classificazione climatico, l’Atlas offre un quadro entro cui vengono presentati i progetti di vari architetti e artisti, fra cui anche ricercatori del Centre for Research Architecture.
Tempi Morti mira a cogliere i modi in cui gli ambienti ostili si sono infiltrati nella vita quotidiana in forme inedite, influenzandone profondamente i ritmi: i tempi della velocità e dell’attesa, della fretta e dell’immobilità, dell’indolenza irrequieta, della convivialità precaria e della violenza razzializzata. Tre diagrammi temporali-esito di un workshop organizzato in collaborazione con Antenne Migranti e la Fondazione Langer che ha visto la partecipazione di richiedenti asilo e attivisti che vivono a Bolzano-tentano di tracciare le strutture affettive che emergono all’intersezione di temporalità standardizzate e soggettive.

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