Al Padiglione d’Arte Contemporanea di Palazzo Massari a Ferrara, in concomitanza con i lavori di riqualificazione architettonica della stessa sede e la contestuale chiusura dei musei lì ospitati, la Fondazione Ferrara Arte e le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea organizzano una rassegna, curata da Lorenza Roversi, che intende restituire alla fruizione del pubblico le opere di Filippo de Pisis. In questi spazi è così esposto, fino al 2 giugno 2019, un corpus di opere del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Filippo de Pisis”, per ripercorrere le fasi salienti della parabola creativa dell’’artista.
A seguito delle ricerche condotte sull’’Archivio Raimondi conservato presso l’Università di Bologna, la mostra presenta una selezione di lettere, cartoline e testi autografi che dagli anni Venti ai Cinquanta De Pisis invia a un amico fraterno, lo scrittore e critico bolognese Giuseppe Raimondi. Una documentazione privata e affascinante, che offre un contesto inedito alla ricostruzione cronologica della carriera del pittore.
L’’abilità di De Pisis nell’’esprimere l’’anima della natura, degli oggetti, delle persone, dei luoghi in primis Ferrara come lontano incanto metafisico trova fondamento nella letteratura, il mezzo prediletto durante la sua giovinezza per filtrare la realtà circostante. Una modalità espressiva connaturata al suo immaginario che non si esaurisce neppure quando si compie, tra l’’apprendistato romano e il trasferimento a Parigi nella primavera del 1925, il passaggio definitivo alla pittura. Esemplare di questo nesso è la Natura morta con il martin pescatore (1925), dove è mirabilmente raffigurato il tema pascoliano del ricordo. Mentre nelle atmosfere misteriose e sospese delle Cipolle di Socrate e delle “nature morte marine”, realizzate tra il 1927 e il 1932, il poeta-pittore riconsidera il personale rapporto con la metafisica di De Chirico, conosciuto a Ferrara nel 1915.
Negli anni della maturità, per De Pisis diventa preponderante trascrivere sulla tela le pure emozioni di fronte all’’oggetto della rappresentazione. Ecco che le suggestioni figurative catturate tra gli angoli della metropoli francese diventano vedute urbane (La Coupole, 1928) o nature morte di originale concezione (I pesci marci, 1928). Ma vanno ricordate anche opere meditate nella tranquillità dello studio come il Gladiolo fulminato (1930) e dal toccante lirismo come La lepre (1933).
Nel percorso cronologico si intersecano due sezioni tematiche. La prima ruota attorno alla bellezza efebica, tema incessantemente trasposto con matite o pennelli sui fogli di un ricchissimo “diario per immagini”. Nell’’altra è invece proposto un inedito dialogo tra alcune bellissime nature morte di De Pisis e quelle, rare, realizzate da Giovanni Boldini: un simbolico passaggio di testimone tra due generazioni e tra due visioni lontane del fare pittura.
L’’attività artistica di De Pisis si chiude con le opere scabre e pallide risalenti al ricovero nella clinica di Villa Fiorita (La rosa nella bottiglia, 1950; Le pere – Villa Fiorita, 1953), ambiente idealmente suggerito nello spazio chiuso e bianco dell’’ultima saletta al piano superiore per sottolineare la dimensione appartata e malinconica dell’’ultimo tratto di vita.