Alle Officine Saffi di Milano, dal 24 gennaio al 14 marzo è allestita la mostra personale di Bouke De Vries (Utrecht, Olanda, 1960), artista che punta il suo sguardo artistico sul modello culturale occidentale secondo cui la rottura di un oggetto ne comporta automaticamente il suo scarto. Egli invece si sente più vicino alla sensibilità della tradizione cinese e giapponese di riparare importanti artefatti in modo che la rottura sia celebrata, piuttosto che nascosta, in un gioco di opposti, come anticipa il titolo dell’esposizione.
In questa mostra Cina ed Olanda sono i poli estremi della sua narrazione. La prima è letta come forza trainante della manifattura della ceramica, la seconda, oltre che la sua patria, è la nazione che ha raggiunto la potenza mondiale nel XVII secolo, grazie proprio agli scambi commerciali con l’Oriente in preziose porcellane ma anche in maioliche di Delft, che, a loro volta, erano spesso ispirate da originali cinesi.
L’interesse di de Vries tuttavia non si esaurisce esclusivamente in una riflessione sulla genesi di manufatti in ceramica, sulle loro forme, i loro usi e simbologie. La sua curiosità intellettuale abbraccia approfondimenti storici e sociologici del contesto in cui, ieri come oggi, questi vengono realizzati o scambiati.
Se i lavori de Vries si presentano sotto forma di esplosioni, bruciature, destrutturazioni o al contrario sono ricomposti utilizzando la tecnica kintsugi (la pratica giapponese di usare l’oro per saldare i frammenti di oggetti in ceramica) la qualità di esecuzione è ciò che contraddistingue queste lavorazioni.
Ogni scultura di de Vries pur entrando in relazione e dialogando con ogni altro suo lavoro rimane essenzialmente un pezzo unico. Proprio per questo l’artista non si avvale di uno studio ma crea da sé ogni singola opera lavorando sulla composizione, cercando di raggiungere un equilibrio formale ed estetico. In questo senso è rilevante il lavoro di maggior dimensione in mostra “The Wall 2”. Si tratta di un’installazione di maioliche bianche di Delft ispirata alle composizioni di porcellane dell’architetto francese, naturalizzato olandese, Daniel Marot, che con i suoi elaborati progetti per interni ha contribuito a definire lo stile decorativo in Europa tra il tardo XVII e il primo XVIII secolo. Per questa opera, De Vries sceglie volutamente solo frammenti di maioliche bianche di Delft, salvati da antichi cumuli e fondi di canali, oggetti non creati per essere celebrativi ma erano riservati all’uso quotidiano e, invece, l’artista ora conferisce loro un nuovo status culturale.
In questo e in altri lavori in mostra i resti archeologici sono il punto di partenza per una nuova narrativa.