Tino Stefanoni. Pittura oltre la pittura


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Tino Stefanoni, Pittura oltre la pittura

A pochi giorni dalla scomparsa di Tino Stefanoni (Lecco, 1937-2017), presso la Reggia di Caserta s’è aperta una mostra dedicata all’artista dal titolo “Pittura oltre la pittura”, allestita fino al 7 gennaio prossimo negli Appartamenti storici, retrostanze del ‘700 della Reggia.

La mostra, composta con opere inedite delle quali molte sono prestate dai collezionisti, è a cura di Vincenzo Mazzarella, Nicola Pedana e Luca Palermo con testo critico di Valerio Dehò e con un intervento di Enzo Battarra.

Il percorso espositivo cronologico si apre con i lavori nei quali si avvertono le suggestioni della Metafisica di Carlo Carrà. Nel ciclo dei Riflessi (1965-1968), i piccoli rilievi tondi diventano la base per dipingere dei paesaggi in miniatura, in cui già si percepisce la cura al dettaglio che diventerà nel tempo una delle cifre più caratteristiche dell’artista lecchese. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta nascono i Segnali stradali regolamentari, al cui interno sono inseriti oggetti-icona che rispondono all’esigenza linguistica di far conquistare all’elemento visivo territori che appartenevano alla parola. Queste immagini ritornano protagoniste nelle tele degli anni ’70 che mostrano una “metafisica senza mitologia” con oggetti comuni come matite, mestoli, scope, flaconi, giacche e altro, disposti su ordinate fila, sovrapposti o affiancati gli uni agli altri che dialogano con lo spazio vuoto o segnato da linee geometriche. È il caso del ciclo delle Piastre, guida per la ricerca delle cose (1971), sculture che rispettano la bidimensionalità del disegno o della pittura, o delle Memorie (1975-1976) dove le tracce degli oggetti sono replicati dai segni lasciati dalla carta carbone. In questi lavori emerge il rigore dell’arte concettuale, alla quale Stefanoni si avvicina già alla fine degli anni ‘70 con Elenco di cose (1976-1983). A questa seguirà quella delle Apparizioni (1983-1984) in cui domina l’essenzialità della linea e la distanza dal colore, con immagini impalpabili come colte attraverso un cielo nebbioso.

Dal 1984, con Senza titolo, il colore racchiuso dalla linea nera caratterizza le nature morte e le vedute, mai la figura umana. Sono ambientazioni nelle quali Stefanoni recupera, senza mitizzarla, la Metafisica, ma in cui è sempre presente la memoria della lezione di eleganza e rarefazione del Beato Angelico, al quale spesso Stefanoni si richiama per la passione per l’osservazione, legata alla rivelazione delle geometrie segrete tra gli oggetti e gli elementi del paesaggio.

Le sue casette, i suoi alberi sono oggetti ridotti all’essenziale, alla semplicità di una forma riconoscibile, quasi illustrativa.

I paesaggi o le nature morte che costituiscono gran parte del lavoro di Stefanoni non vogliono spiegare o raccontare, quanto rappresentare uno stato delle cose.

Anche le sue più recenti Sinopie, richiamando la tecnica dell’affresco, riflettono questo suo inserimento nella classicità del dipingere e aprono a delle forme di azzeramento del colore e dei contorni dei paesaggi, fino a diventare semplice pittura, sempre alla ricerca dell’essenzialità.

Accompagna la mostra un catalogo edito dal Comune di Lecco con, oltre ai testi istituzionali, un saggio critico di Valerio Dehò.

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