Viva il “Vive” di Xerra


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Vincenzo Tamagni (San Gimignano, 1492 – 1530 c.) Coppia in un giardino 1525-30 c. Olio su tavola, cm 124 x 91 Holkham Hall, Norfolk, collezione Coke

I “Calligrammes” di Apollinaire, il “Coup de dés” di Mallarmé, le parole in libertà dei Futuristi, le istruzioni di Tzara per comporre una poesia dadaista. Sono i precedenti illustri che hanno permesso il germogliare di quel fenomeno noto come poesia visiva, fiorito negli anni ’50 del Novecento. Sinestesie, metafore, allegorie sono soltanto alcune delle figure retoriche utilizzate per descrivere un’immagine attraverso le parole. La storia della letteratura è piena zeppa di esempi in merito. Tuttavia per quanto concerne l’arte il discorso si ribalta perché si assiste al processo inverso, ovvero alla trasformazione di un materiale di prelievo, in questo caso la parola scritta avente la sua intrinseca funzione segnica, da un contesto ben preciso a un altro che prevede la creazione di un qualcosa di unico e irripetibile; non di un prodotto seriale quale può essere il libro, sebbene anche in questo caso le eccezioni non manchino. Soffermandoci sul generale crediamo sia utile analizzare il lavoro di William Xerra e il suo rapporto con la poesia visiva.

L’artista, nato a Firenze nel 1937, inizia a dipingere negli anni ’60 e, come logica vuole, attinge alle espressioni artistiche che lo precedono e che gli sono contemporanee: informale, pop art, arte meccanica. Tutte correnti che, pur volendo superarle o addirittura negarle, prendono le mosse dalle avanguardie storiche, futurismo e cubismo in primis, nel frattempo mediate dal decisivo incontro con la cultura americana. Il periodo però è tutt’altro che tranquillo. Il dibattito sull’arte e su quale deve essere il suo compito nella società è più che mai acceso. Nel 1967 Xerra incontra il Gruppo ’63, composto da poeti, scrittori e intellettuali che si erano posti l’obiettivo di soverchiare le regole costituite dell’arte e della letteratura, attraverso un processo radicale che ben presto viene definito dai critici come elitario, tanto è lontano dalla cultura nazional-popolare propinata dalla televisione e dai giornali.

Tuttavia è proprio in questo momento che Xerra comincia a ragionare sulle relazioni che intercorrono tra segno poetico e pittorico, maturando un linguaggio che diviene sempre più sintetico e concettuale. Nasce il “Vive”, cifra stilistica dell’artista assieme al più recente “Io mento”. Scritte che se isolate non possiedono forza significante, ma che se inserite in un contesto specifico divengono opera d’arte finalizzata alla narrazione. Xerra racconta di aver avuto l’illuminazione una volta in cui entrò in una chiesa e osservò che la gente guardando gli affreschi era più concentrata sulle parti che mancavano (le lacune come le chiamava Cesare Brandi) piuttosto che sulla pittura stessa. Il concetto di “Vive” è stato ben definito da Arturo Carlo Quintavalle quando ha scritto che «Xerra cancella sezioni della realtà, pone in rilievo figure secondarie, aspetti marginali, dunque vuole recuperare una sezione del mondo che è cancellata, che é rimossa». Lo ha fatto in occasione di un libro monografico pubblicato nel 1976 sul quale Xerra è intervenuto eliminando volontariamente alcune parti del saggio introduttivo di Quintavalle, rendendo in tal modo l’oggetto un libro d’artista seriale, quasi un multiplo.

Il “Vive” è quindi un frammento, un lacerto, al quale l’artista offre una nuova esistenza. Paradossalmente è cancellando che Xerra ambisce a far ritornare a galla il fenomeno, pur sapendo che non potrà essere recuperato nella sua interezza. Come un fotogramma rimosso e isolato dalla pellicola. Un’istantanea di un racconto che segue le regole della tradizione orale, ovvero si sfila e perde o acquista i particolari della sua origine, mutando la sua natura. L’artista agisce allora da restauratore della storia, cioè pone in enfasi la lacuna, e anziché falsificarla la rende un “unicum”. Il “Vive” diventa così lo spazio bianco tra due vignette di un fumetto, quella parte mancante che rende possibile la narrazione stessa.

Tra i tanti esempi di “Vive” ricordiamo il più recente a Vercelli, per “Segnale Libero”, il progetto di riqualificazione artistica delle cabine telefoniche. Xerra ha foderato di nero l’interno della cabina e ha adoperato un supporto in metallo, nero anch’esso, per appoggiarci sopra la scritta “Vive” al neon. Appesa alla parete una fotografia scattata dall’artista, che raffigura un muro graffito e crivellato di proiettili, davanti al quale furono fucilati dei partigiani. Due lassi temporali si intersecano: il primo rimanda a una pagina tragica della nostra storia, il secondo invece richiama momenti perlopiù anonimi, vale a dire le tante parole pronunciate nel corso delle telefonate fatte quando la cabina era in funzione. In entrambi i casi il “Vive” nella sua luminosa sintesi evidenzia l’ineluttabile necessità del frammento affinché il racconto si compia.

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