Luigi Boille. Turbolenti frenesie


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Luigi Boille, Véhémence d’une réalité, 1967, olio su tela, cm 200×160

Una delle tre mostre allestite contemporaneamente in questi ultimi giorni di maggio e fino al 23 luglio al MAC di Lissone è quella dedicata a Luigi Boille (Pordenone, 1926 – Roma, 2015), con la curatela di Alberto Zanchetta e con l’obiettivo di riassegnare un giusto rilievo storico agli artisti informali che attualmente sono un poco trascurati (le altre due mostre allestite nello stesso periodo sono: “Ctrlzak. Extincto”, a cura di Alberto Zanchetta e “Arc#ive, volume 7: Nanni Valentini”, a cura di Lorenzo Respi).

Luigi Boille è considerato tra gli artisti che in quegli anni hanno avuto un ruolo centrale nel rinnovamento del linguaggio pittorico grazie a uno stile inconfondibile.

Egli si differenziava per un tratto (o se si preferisce: una “traccia”) in cui il gesto si converte in segno, riuscendo a trasferire nella pittura l’automatismo della scrittura. Al pari di un Giuseppe Capogrossi o di un Mark Tobey, Boille non si abbandonava all’irruenza dell’informale, aspirava semmai a definire un ordito di colori: una cosmogonia di luce-materia.

La selezione di opere qui proposta è rappresentativa del periodo di maggiore intensità espressiva dell’artista e del suo progressivo tentativo di mettere a punto un fraseggio pittorico assolutamente originale. I quadri esposti mostrano infatti il passaggio da una gestualità rarefatta a una più serrata, ove le campiture dense e scure cedono il passo a cromie vivaci e guizzanti.

Il decennio dei Sessanta rappresenta uno snodo fondamentale per comprendere il linguaggio tecnico ma anche poetico di Boille, sia dal punto di vista artistico sia sotto il profilo umano. Annoverato nella Jeune École de Paris e cooptato nelle ricerche dell’Art autre vaticinate da Michel Tapié, Boille visse a Parigi fino al ‘65, dopodiché coronò il suo ritorno in Italia con una sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia. Ed è proprio su questo spartiacque che si concentra la selezione proposta in collaborazione con l’Archivio Boille di Roma, puntando l’attenzione su un decennio saliente che enuclea ed estrinseca la pittura filamentosa dell’artista, mettendo in evidenza quel suo atteggiamento integerrimo, che l’ha premiato e allo stesso tempo isolato.

Luigi Boille non ha mai assecondato le mode, né ha mai sconfessato il suo impegno ideologico; benché fosse stimato da Alloway, Yoshihara, Jaguer, Tapié, Restany e Argan (solo per fare alcuni nomi), Boille è un pittore che soltanto oggi possiamo apprezzare e comprendere appieno. Il desiderio di riscoprire la sua parabola artistica è anche un invito a riscrivere un importante capitolo del secolo scorso, oltre che un’inderogabile occasione per emendare gli errori commessi in passato (nel 1961 l’artista si aggiudicò uno dei dodici premi acquisto del XII Premio Lissone, riconoscimento di cui non poté beneficiare a causa di alcuni cavilli burocratici).

Poiché Luigi Boille ha saputo imprimere la propria “traccia” al corso degli eventi, il MAC di Lissone vuole rendergli omaggio con una mostra che ne valorizzi le peculiarità segniche e coloristiche.

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Informazioni su Anselmo Villata

Caporedattore dell'Agenzia Stampa Verso l'Arte, Vice Presidente Internazionale dell'Associazione Internazionale dei Critici d'Arte, Docente presso la 24Ore Business School e presso la Giunti Academy, Curatore, Critico d'Arte, Saggista, Cultural manager e Cultural planner orientato alla promozione e alla valorizzazione dei Beni Culturali con un'ottica all'interdisciplinarità e alle collaborazioni internazionali.

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