Cesare de Seta


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Strade di lettere e di arti

Cesare de Seta ottant’anni da poco compiuti – nato infatti a Napoli il 23 aprile 1941 – resta uno degli ultimi protagonisti di una critica d’arte colta, erudita, signorile, cosmopolita e universalista in grado di essere competente e specialistica, senza però voler o dover rinunciare alla buona divulgazione. Nel caso di de Seta la storia dell’architettura, soprattutto dal gotico al primo Novecento, è la chiave di lettura per conoscere attività parallele o a essa integrate come le arti pittoriche e scultoree: e il modo di porgere questo sapere, in particolare attraverso la stampa quotidiana, non senza qualche apparizione televisiva, è l’affabilità, il garbo, l’autorevolezza, di persona d’altri tempi che sembrano cozzare contro il critico-star narciso, provocatore, mediatico delle generazioni successive.

Un’altra freccia all’arco di de Seta – al di là degli studi ad esempio su Raffaello Giolli, Giuseppe Pagano, Lodovico Belgiojoso, Edoardo Persico, Man Ray e i cinque romanzi pubblicati – è l’interesse verso i colleghi o meglio i ‘maestri’ che lo precedono nel corso del XX secolo, ai quali viene dedicato il libro Sulle strade delle lettere e delle arti (edito da Neri Pozza a fine 2020). Sono trentaquattro i capitoli del volume, corrispondenti ad altrettanti fra studiosi, accademici, romanzieri che esprimono, anche in un solo libro (o al contrario attraverso la vita intera), il proprio pensiero su un artista, una corrente, un’opera, uno stile, un’estetica. I testi sono tratti da una scelta di articoli (talvolta autentici saggi) costantemente pubblicati sul «Corsera» e su «Repubblica» dal 1977 al 2019, che de Seta riaggiusta solo in parte (soprattutto quelli di vecchia data), forse per un ulteriore atto di accresciuta stima verso i padri ispiratori: l’autore riscrive quindi, con maggior solerzia, alcuni brevi passi per far capire come, nel tempo, l’importanza di certi luminari debba essere accresciuta, lamentando talvolta lo scarso interesse dell’editoria italiana a ristampare alcuni libri di fondamentale importanza storica-culturale.

I nomi ci sono tutti, fra gli studiosi che han reso la storia dell’arte quasi una scienza moderna: all’estero ad esempio Marc Fumaroli, Bernard Berenson, Rudolf Wittkower, Antony Blunt, in Italia Roberto Longhi, Lionello Venturi, Mario Praa, Cesare Brandi, Carlo Ludovico Ragghianti, Giulio Carlo Argan, fra gli scrittori Carlo Ginzurg, Lalla Romano, Giovanni Testori, Sergio Solmi, Roberto Calasso, Andrea Camilleri. I maestri che tuttavia lo ‘condizionano’ con maggior positività sono altri due: i francesi Henri Focillon e André Chastel, dai quali emerge una nuova scuola di pensiero negli studi di storia dell’arte, che sarà destinata a influenzare l’intero secolo; lontani entrambi da letture dell’arte intesa come linguaggio simbolico o al contrario ristretta a una linea storicista, de Seta sostiene che i due scoprono una ‘terza via’ traendo “ogni osservazione tassonomica sulla natura dell’arte da una presenza diretta e continua dell’esperienza fattuale”.

Di fatto dietro ogni maestro, c’è un libro che de Seta discute e commenta, partendo dall’assioma della scrittrice Virginia Woolf, secondo cui: “Il recensore è un’altra cosa dal critico, e la sua presenza è legata all’aquilone della politica editoriale”. Ma se de Seta sceglie un determinato volume è perché l’argomento riflette l’autore che egli ama e verso il quale si comporta da ‘terzo incomodo’, senza pretese accademiche ma solo quale “punto di riferimento – parziale e discutibile ma con una sua sistematicità – su autori e argomenti che nel corso del tempo mi hanno preso per un motivo o per l’altro” (per affinità elettive, si può dire a fine lettura).

Un altro elemento significato che apparenta de Seta ai grandi che ha recensito è la qualità della prosa, l’alto livello di un’esposizione al contempo raffinata, popolare e intelligente: “Oggi – dice appunto nella premessa – sono consapevole d’essere (o di ambire a essere) sempre scrittore anche quando scrivo di saggistica: o almeno questa è la ricerca a cui miro in ogni pagina che scrivo, quale sia il genere in cui essa si può collocare”. Quale perfetta sintesi di teoria (critica) e pratica (scrittura) bastino le poche righe dove, per riassumere Argan, nel 1991 descrive mirabilmente le differenze tra due geni del Rinascimento: “ Michelangelo agognava al mistero, all’oscurità del mistero: sia esso quello della fede, come quello dell’arte. Al contrario, per Leonardo le procedure dell’arte erano assimilate a quelle delle scienze. L’arte era conoscenza, era una via verso la conoscenza, mezzo e metodo d’analisi e descrizione dei fenomeni”.

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