Arturo Martini e Firenze


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Al Museo del Novecento di Firenze, fino al 14 novembre è allestita la mostra “Arturo Martini e Firenze”, realizzata a cura di Lucia Mannini, Eva Francioli, Stefania Rispoli.

In linea con una visione scientifica del museo inteso come laboratorio di ricerca e formazione, la mostra è frutto di una collaborazione tra il Museo Novecento e il Dipartimento SAGAS dell’Università degli Studi di Firenze. Nell’ambito del progetto Dall’Aula al Museo, avviato nel 2019 con il prof. Giorgio Bacci, due giovani studentesse del corso magistrale di Storia dell’arte contemporanea, Margherita Scheggi e Valentina Torrigiani, hanno lavorato insieme a Lucia Mannini e allo staff curatoriale del Museo alla organizzazione dell’esposizione. Con tale progetto si intende, infatti, avvicinare il settore della ricerca accademica a quello della formazione museale e della divulgazione al grande pubblico, offrendo al contempo un’occasione unica di approfondimento dei grandi maestri del Novecento italiano e di valorizzazione del nostro patrimonio.

L’esposizione si inserisce all’interno del ciclo Solo dedicato ai maggiori artisti del Novecento, pensato per raccontare aspetti peculiari e meno noti della vita e della pratica di grandi protagonisti nella pittura e scultura del secolo scorso.

Arturo Martini, L’attesa,1931, gesso patinato, Collezione Mario Luca Giusti

La presenza di Arturo Martini a Firenze si ricostruisce sia attraverso la sua partecipazione a importanti esposizioni, sia perché è stato immediatamente oggetto di interesse da parte di collezionisti privati, come attesta la presenza di una serie di sue sculture conservate nel capoluogo toscano. Quindi, il legame tra Arturo Martini e Firenze si declina nella presenza e nel ritorno di alcune sue opere fondamentali degli anni Trenta: un breve ma rilevante capitolo che attesta la dinamicità culturale della città in quel periodo e infine anche nel rapporto con le fonti visive che i musei fiorentini avevano potuto offrirgli. 

Il legame affettivo con Roberto Papi aveva portato Martini a stabilirsi per alcuni mesi a Firenze all’inizio del 1931, giungendo a ipotizzare di comprarvi un podere con il premio in denaro ottenuto con la vittoria alla Quadriennale. Vi rimarrà invece solo alcuni mesi, lasciandovi, nella villa che l’aveva ospitato una scultura in gesso ritenuta dispersa e che oggi, rintracciata, è presentata in mostra a introdurre quel momento cruciale all’inizio degli anni Trenta.

L’ingresso di quattro opere nella raccolta che i Contini Bonacossi stavano allestendo a Villa Vittoria. Altre opere entrarono o in collezioni cittadine, come quella Valli e quella di Mario Castelnuovo Tedesco, musicista dalla cultura complessa e raffinata. L’attenzione di Castelnuovo Tedesco era caduta su Ofelia, terracotta di toccante sensualità e tragicità.

Un rapporto di stima reciproca è quello che lega Martini al pittore Felice Carena. Ad attestarlo in mostra è la versione in bronzo, inedita, dell’Ulisse del 1935, regalata da Martini a Carena e a sua moglie Mariuccia Chiesa. Il percorso della mostra si chiude con il ritrovamento di un’opera giovanile, l’Aratura, custodita in una raccolta privata fiorentina.

Infine, a settembre è prevista l’apertura della sezione “Martini e Carrara” dedicata a quel rapporto speciale che Martini, come tanti altri scultori, intrattenne con le Apuane, per il marmo statuario, preferito dagli artisti per la sua purezza e luminosità.

L’eccezionale prestito concesso dalla Fondazione Cariverona vale a rappresentare la ricerca estrema condotta da Martini negli anni Quaranta, cui si affianca il dipinto Le cave del marmo con il quale si ricorda quella profonda insoddisfazione che lo aveva indotto ad abbandonare temporaneamente la scultura per dedicarsi alla pittura.

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