Chen Zhen. Short-circuits


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Le opere di Chen Zhen (1955, Shanghai – 2000, Parigi) sono esposte, fino al 21 febbraio 2021, all’Hangar Bicocca Pirelli di Milano nella mostra retrospettiva “Short-circuits”, realizzata a cura di  Vicente Todolí, con la quale viene evidenziato come l’artista ha saputo superare il divario tra l’espressività orientale e quella occidentale, attraverso opere di grande potenza visiva che anticipano la complessità socio-politica del mondo di oggi, analizzando temi come la globalizzazione, il consumismo e il loro rapporto con la tradizione.

Chen Zhen, Short-circuits, Hangar Bicocca Pirelli, Milano

Oltre venti installazioni su larga scala realizzate dall’artista negli ultimi dieci anni della sua carriera, fino al 2000, presentate grazie a numerosi prestiti provenienti da istituzioni e collezioni italiane e internazionali.

Il titolo dell’esposizione prende spunto dal metodo creativo sviluppato dall’artista, definito il “fenomeno del cortocircuito”: lo svelamento del significato recondito dell’opera d’arte nel momento in cui viene spostata dal contesto originale per cui era stata concepita in un luogo diverso.

Il percorso espositivo parte da uno dei lavori più rilevanti di Chen Zhen Jue Chang, Dancing Body – Drumming Mind (The Last Song), (2000), una monumentale installazione composta da numerose sedie e letti provenienti da diverse parti del mondo e ricoperti di pelli di vacca.

La trasformazione della Cina in una società consumistica e capitalista è un altro tema centrale al lavoro di Chen Zhen, ed è ben rappresentato nell’installazione Fu Dao / Fu Dao, Upside-down Buddah / Arrival at  Good Fortune (1997). Il titolo si basa sugli ideogrammi cinesi che indicano “buona fortuna”/”arrivo della fortuna”, un’indicazione che solitamente viene appesa alla rovescia nei luoghi pubblici e che è omofona dell’espressione “Budda capovolto”. Il rapporto con la Cina e la sua modernizzazione sono alla base anche di Daily Incantations (1996), realizzata in seguito a un viaggio nella sua città d’origine, dopo diversi anni trascorsi in Occidente, e di Prayer Wheel – Money Makes the Mare Go (Chinese Slang) (1997). La prima installazione è costituita da 101 orinali disposti a semicerchio e fissati ad un imponente impianto in legno a ricordare un antico strumento musicale, ispirata dall’osservazione dell’artista di alcune donne intente di mattina a lavare dei vasi da notte. La seconda è concepita come un ambiente immersivo al cui interno è collocata una ruota di preghiera, ispirata dal suo viaggio in Tibet, compiuto prima di trasferirsi a Parigi,  e rivestita da antichi abachi cinesi e calcolatrici. Significativa per comprendere l’influenza che questo spostamento geografico ha generato è Le Rite suspendu / mouillé del 1991, che segna l’abbandono della pittura e il passaggio dell’artista verso una maggiore consapevolezza del carattere installativo della sua pratica. Come affermato da Chen Zhen, l’opera rappresenta un autoritratto, un’autocritica e una autoriflessione. Significativa per la relazione tra elemento naturale e manufatto industriale, altro rapporto centrale nella pratica dell’artista, è invece Éruption future, realizzata nel 1992 e presentata in Pirelli HangarBicocca per la prima volta da allora.

Infine, sono esposti anche i lavori che indagano i concetti di malattia e guarigione, fisica e spirituale. In Purification Room (2000), ad esempio, l’artista si interroga sulla possibilità di purificazione dell’uomo e più in generale del mondo. La mostra si chiude “Short-circuits” nello spazio del Cubo con l’opera Jardin-Lavoir (2000): formata da 11 letti, trasformati in vasche di acqua, ciascuno dei quali ospita oggetti quotidiani, come vestiti, scarpe, componenti elettroniche e libri, ed è sormontato da un sistema idraulico da cui sgorgano ininterrottamente flussi di acqua. Per l’artista questa installazione evoca un “giardino di purificazione” in cui meditare e raccogliersi.

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