Focus 1968-2018


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Paride Bianco, Passaggio a livello con musica, acrilico su carta, 1991, cm 86×104

Alla Galleria d’Arte Contemporanea di Gubbio (PG), Palazzo del Bargello, dall’8 al 30 settembre è allestita la mostra “Focus 1968-2018”, che ripercorre i 50 anni di attività dell’artista veneziano Paride Bianco. Formatosi nella Venezia delle testimonianze pittoriche sociali del Novecento veneziano (Marco Novati, Fioravante Seibezzi, Virgilio Guidi, Alberto Gianquinto), Paride Bianco guarda ad Armando Pizzinato, come lui formatosi in un solitario tirocinio e accomunato da una nascita artistica tutta milanese. Ad unirli è soprattutto la condivisione politica, il concetto di rapporto artista-tempo e sul piano artistico lo studio dei segni (Il partigiano).

Esordisce nel 1968 con una mostra di disegni a china e acqueforti alla Galleria “La Torre” di Mestre. Con i primi Anni Settanta inizia il periodo della neofigurazione e dell’espressionismo astratto con prestiti baconiani che apre alle mostre della “Galleria Bevilacqua La Masa” di Venezia. Evento importante si rivela la frequentazione di Milano e dei galleristi Fumagalli, Schwarz e Gianferrari. Sono gli anni della frequentazione dei corsi accademici di tecniche calcografiche sotto la guida di Luciano Zarotti, Giuseppe Fantinato e Mario Abis, grazie ai quali Paride apprende le tecniche incisorie e realizza una serie di acqueforti e acquetinte. Verso la fine degli Anni Settanta Paride abbraccia la visione di Georg Lukács. Rispecchiatosi nei suoi insegnamenti sperimenta pittoricamente l’alienazione borghese (o più esattamente, dell’individuo borghese, che ha già avuto il suo incipit nella realizzazione dell’Uomo della borghesia, per la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia, nei primi anni Settanta) e poi l’alienazione comunista (o più esattamente, del “compagno” comunista). Come Lukacs sceglie l’incerto per il certo per abbracciare totalmente l’arte.

Nel 1981 l’artista produce una grande quantità di lavori fortemente strutturati, affidati a diverse matite con le quali riesce a dare profondità alla scena e plasticità alle figure. Contemporaneamente con una serie di ritratti e paesaggi “ostativi” sperimenta una sua tecnica esclusiva, quella di un bassorilievo con o senza l’uso della paraffina calda.

Gli Anni Duemila aprono alle grandi tele, ai primi lavori estroflessi, alle rappresentazioni multiple; ad oggi il lavoro di Paride Bianco si è impreziosito, grazie alla ripresa della tecnica a olio e paraffina, ma l’artista non rinuncia al suo ruolo di denuncia e di impegno civile. È anche il tempo di eventi importanti, dei primi riconoscimenti, tardivi e spesso indigesti, perché – per riprendere Lawrence Johns – la sua è un’arte di rottura che cattura, scombussola e mette in crisi chi tenta di incasellarlo.

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