Daniel Spoerri / Giovanni Manfredini. The Other Half of the Sky may be Obscured?


Stampa
In Toscana, al Palazzo Ducale di Massa, fino al 29 aprile, sono esposte in mostra le opere di Giovanni Manfredini (Pavullo nel Frignano, Modena 1963) e Daniel Spoerri (Galati, Romania 1930) in una doppia mostra personale e due generazioni a confronto.

La mostra “The Other Half of the Sky may be Obscured?” (L’altra metà del cielo può essere oscura?), è promossa dal Comune di Massa in collaborazione con il Museo Diocesano e curata da Davide Di Maggio e Mauro Daniele Lucchesi dell’Associazione Quattro Coronati.

Il percorso espositivo comprende oltre 50 opere tra sculture, quadri e i famosi “tableau piege” disseminate nei bellissimi spazi del Palazzo Ducale, del Museo Diocesano e della Cattedrale dei S.S. Pietro e Francesco. L’obiettivo è quello di enfatizzare l’aspetto della dimensione “spirituale” del lavoro dei due artisti, restituire cioè alle opere una dimensione “sacra” che le faccia dialogare con l’abside, l’altare, la navata (nella Cattedrale) con le sale di rappresentanza dei Malaspina, duchi e signori di Massa antica (nel Palazzo Ducale) e con le opere sacre di Jacopo della Quercia, del Bernini, di Bernardino, di Pietro Tacca (nel Museo Diocesano), ciò finalizzato a “ritrovare” un contatto tra il sé e il divino. Le stesure di materia e colore nero di Giovanni Manfredini nascono dalle tenebre, dal buio profondo ma ricercano la luce, sono i multipli di unico ego che, sfrangiandosi, diventa una eco dell’artista. I suoi corpi ritratti ossessivamente sono “tentativi di esistenza”, non dunque di individui ma di multipli di uno stesso ego: cloni senz’anima congelati in una placenta nera, buia, nella materia/scultura accumunata dalla tensione e dallo sforzo di tendere verso una luce rivelatrice. Anche se perfettamente connaturati nella fisionomia dell’artista, i corpi di Manfredini si dibattono tra vita e morte, realtà e artificio. Parallelamente le opere di Daniel Spoerri ruotano attorno all’idea di fissare per sempre quanto il caso e la vita hanno naturalmente determinato, così come sono la manifestazione del tentativo dell’artista di conservare, di trattenere e di rimettere in circolo le tracce e la memoria di situazioni vissute, di tradizioni e di costumi passati. La memoria e la vita trascorsa, le loro connessioni e le infinite storie che parlano attraverso questi oggetti reietti e abbandonati, delineano così una sorta di ricostruzione archeologica e antropologica del nostro tempo, rivissuta attraverso la pratica creativa dell’arte.
Disponibile catalogo con testo critico di Achille Bonito Oliva. La mostra si avvale anche della collaborazione con la Fondazione Mudima di Milano, e della Fonderia Fusioni Trevi di Walter e Patrick Vaghi, che hanno prestato cortesemente alcune opere.

Share Button

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *