Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza


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Gaetano Previati, La danza delle Ore, 1899 circa

Con una mostra a cura di Giovanni Carlo Federico Villa e Stefan Weppelmann, a Padova presso il Palazzo del Monte di Pietà, fino al 18 marzo 2018, prende vita un percorso nei sette secoli d’arte a Padova che conduce dentro l’unicità di Galileo: artista, poeta, letterato oltre che scienziato.

La mostra, ideata da Giovanni C.F. Villa per la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo racconta la figura complessiva e il ruolo di uno dei massimi protagonisti del mito italiano ed europeo.
Dalla mostra emerge l’uomo Galileo nelle molteplici sfaccettature: dallo scienziato padre del metodo sperimentale al letterato esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti, De Sanctis e Calvino. Dal Galileo virtuoso musicista ed esecutore al Galileo artista, tratteggiato da Erwin Panofsky quale uno dei maggiori critici d’arte del Seicento; dal Galileo imprenditore (non solo il cannocchiale ma anche il microscopio o il compasso) al Galileo della quotidianità.

Per documentare “Rivoluzione Galileo” è riunito nella mostra un grande numero di opere d’arte, a partire dagli acquerelli e schizzi dello stesso Galileo, che era anche un attento osservatore dell’arte. L’influenza delle conquiste galileiane e della scienza moderna sulla cultura artistica è evidente già nel primo Seicento: con la minuziosa resa della natura, come testimoniano le straordinarie opere dei Brueghel e di Govaerts, ma anche in una pittura che recepisce immediatamente la prorompente portata delle ‘macchine’ di Galileo.
Nel 1610 Galileo pubblica il Sidereus Nuncius, e un effetto immediato si può scorgere nella celebre Fuga in Egitto di Adam Elsheimer, prima raffigurazione della Via Lattea. E poi in una sequenza di artisti capaci di raffigurare la luna così come vista con il cannocchiale, tanto che una notevole sezione di mostra racconta proprio la scoperta della luna da Galileo fino ai giorni nostri. Anche il genere della natura morta sviluppa nuove formule compositive. E poi un racconto iconografico per capolavori, tra le quali spicca il dipinto del Guercino dedicato al mito di Endimione, con una delle prime raffigurazioni del cannocchiale perfezionato dallo scienziato pisano. Tra gli anni Venti e Trenta del secolo prende vita una vera e propria “bottega” galileiana, ovvero una generazione di artisti (Artemisia Gentileschi, l’Empoli, Stefano Della Bella, ecc.) in grado di condividere le suggestioni offerte dalla lezione dello scienziato. Come le Osservazioni astronomiche di Donato Creti ora in Pinacoteca Vaticana: straordinarie tele raffiguranti stelle e pianeti ritratti in modo da mostrare l’aspetto che presentano al telescopio, evocando le scoperte galileiane.
La mostra conduce i visitatori anche dentro alla “costruzione” del mito galileiano in epoca ottocentesca. Nel 1841, per esempio, il Granduca Leopoldo II di Lorena costruiva, in Palazzo Torrigiani, la Tribuna di Galileo, straordinario ambiente immaginato quale sintesi iconografica della scienza sperimentale, da Leonardo a Galileo. Dopo il centrale episodio fiorentino di Santa Croce, eternato da Ugo Foscolo, l’Ottocento diviene il secolo dei monumenti dedicati a Galileo. Ecco allora Pisa, Roma, la Loggia degli Uffizi a Firenze per giungere alla trentaseiesima statua dei grandi padovani in Prato della Valle.
La mostra sviluppa un’ampia sezione d’arte contemporanea che da Previati e Balla giunge fino ad Anish Kapoor.
Così sette secoli di arte occidentale, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana, restituiscono compiutamente la parabola umana di Galileo celebrato in una Padova che lo vide protagonista per 18 anni. In questo ambito, l’Università agli Studi di Padova che, come ha annunciato il suo Rettore, prof. Rosario Rizzuto, ha deciso di affiancare alla Mostra un programma di iniziative, incontri, approfondimenti sulla figura di colui che è stato uno dei suoi più illustri docenti e Maestri.

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