Quella folla magica. L’arte di Sgt. Pepper Riflessioni su Peter Blake e la copertina di un album seminale


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LP dei Beatles Sgt Pepper

Il 1° giugno di mezzo secolo fa esce in tutto il mondo il disco a 33 giri Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band a firma The Beatles: si tratta di un album seminale oggi celebrato in tutto il mondo da qui fino al dicembre 2017 con svariate iniziative, tra mostre, dischi, concerti, libri come l’eccellente Sgt Pepper 50 anni. La storia, la musica, le suggestioni è l’eredità del capolavoro dei Beatles, edito in Italiana dalla storica Hoepli e curato dagli esperti inglesi Mike McInnerney, Bill DeMain, Gillian G. Gaar.

Sgt. Pepper (titolo affettuosamente abbreviato) viene subito considerato dai semplici ascoltatori ai raffinati giornalisti, da scatenati aficionados a insigni studiosi della musica, del costume, dell’arte, della società, dei mass-media, una pietra miliare, un fenomeno epocale, un’opera assoluta. In tal senso un critico inglese paragona la copertina di Sgt. Pepper al quadro della Gioconda di Leonardo in quanto a impatto popolare. Infatti, tra i motivi extrasonori, per il quale celebre album viene ancora oggi ascoltato, ricordato, studiato, osannato, c’è anche e soprattutto l’aspetto visivo.

Prima di parlarne, occorre però soffermarsi sul metodo rivoluzionario con cui la musica stessa viene registrata, perché si tratta di un esperimento che in qualche modo attiene all’estetica dell’arte visiva; mentre si sta lavorando al disco, il produttore George Martin (non a caso ritenuto il quinto beatle) sostiene che la nuova tecnologia – il registratore multitraccia, per la prima volta a otto piste, contro le due precedenti) consente ai musicisti di dipingere il suono anziché fotografarlo. Insomma i vecchi metodi fonografici stanno alla fissità di un dagherrotipo come la nuova elettronica consente ai Beatles la libertà improvvisativa di un quadro astratto. Il processo di realizzazione di Sgt. Pepper alquanto soggettivizante risulta dunque l’esatto contrario del clic istantaneo dell’apparecchio fotografico, giacché si avvicina alle prove, agli azzardi, all’alea del pittore contemporaneo per creare dal nulla qualcosa di nuovo adoperando ogni elemento sensoriale (vista, udito, tatto), così come avviene negli happening, negli envinronement e nelle performance, che proprio allora vanno affermandosi all’interno dell’arte povera, della minimal art e dell’arte concettuale, tra le cosiddette neoavanguardie.

Legata al concettuale – non a caso Sgt. Pepper sia pur per altri motivi e con diversi intenti viene definito il primo concept album – è anche la copertina, opera collettiva, ma individuabile proprio nella concettualità (ovviamente autoriale) nel pittore Peter Blake, già a metà Sixties fondamentale esponente della pop art britannica. Come si sa, la custodia di Sgt. Pepper va oltre la semplice busta a livello di packaging, per diventare un albo cartonato in quattro facciate: la prima (cover o copertina) presenta la celebre immagine del gruppo variegato quasi in attesa di uno spettacolo, le due pagine centrali offrono un coloratissimo primopiano di sorridenti Fab Four su fondo giallo e la quarta regala i testi delle tredici canzoni (carattere scuro su fondo arancio) con ancora i liverpooliani rimpiccioliti in basso; all’interno da un lato è contenuto il padellone, dall’altro, a mo’ di gadget, un cartoncino quadrato con i baffi, i distintivi, i galloni e la cartolina postale del Sergente Pepe da ritagliare.

All’inizio, per la copertina, prima di Blake, viene contattato l’ensemble olandese The Fool, già noto per i murales dagli abbaglianti surrealismi psichedelici: per i Beatles eseguono alcune decorazioni e soprattutto le facciate dell’edificio della Apple Boutique in Baker Street (aperta il 7 dicembre successivo). Tuttavia il bozzetto di The Fool per il 33 giri risulta troppo piccolo e viene perciò scartato. È Paul McCartney a occuparsi della grafica con il beneplacet della casa discografica e quindi ‘costretto’ ad accettare l’invito di un amico gallerista, Robert Frazer, a ‘ripiegare’ su Blake e relativa consorte, la scultrice americana Jann Haworth, già apprezzata per le statue morbide in gommapiuma: ne concepisce due nuove, una bambola e una vecchietta da inserire nella banda del club dei cuori solitari del sergente Pepe.

A questo punto, ancor oggi, non si sa a chi venga, per primo, l’idea della foto di gruppo che diventa figurativamente un’icona del XX secolo quasi come Guernica di Picasso o una Marilyn di Warhol, fatto sta che Blake e la Haworth – con l’aiuto del fotografo Michael Cooper – approntano l’ultranoto collage con ben 73 personaggi storici e 16 oggetti disposti davanti alle sagome in una sorta di platea-giardino, con la scritta “Beatles” a fiori rossi e con un finto cielo azzurro sullo sfondo. Il set del collage è in parte tridimensionale: in primo piano ci sono i quattro Beatles ora baffuti con sgargianti divise simil vittoriane (nell’ordine gialla per John, rosa per Ringo, celeste per Paul, rossa per George) ripresi in carne e ossa, accanto ad alcune statue di cera dal Museo di Madame Trusseau, tra le quali spiccano, guardando a sinistra, i ‘vecchi’ Beatles dall’aria mesta in abiti neri e capelli a caschetto. La seconda, la terza e la quarta fila sono silouhettes in masonite a grandezza naturale: su di esse vengono applicati ingrandimenti fotografici di immagini repertoriali tratte da libri o riviste (talvolta lasciate nell’originale bianco e nero, talaltra con ritocchi in tinte acquarellate).

La tipologia dei personaggi è radicalmente eterogenea: da Karl Marx a Marilyn Monroe, da Albert Einstein a Edgar Allan Poe, da Bob Dylan a Karlheinz Stockhausen. L’effetto complessivo è una cover dall’indubbio dubbio stile visuale “british pop art” – così come è “pop” il contenuto musicale, però non nel senso del popular, bensì quale riflesso al quadrato sull’arte contemporanea – ma che va oltre le categorie o i generi, essendo altresì molto più avanti degli stili grafici applicati alla discografia che pure in quegli anni Sesanta dominano in quanto efficienza e creatività.

Per concludere, valgono sull’arte in senso visivo e tipografico – ivi compreso il lettering e i rigori della grancassa della batteria al centro, che fa subito scuola – quanto affermato da Blake medesimo sul senso ultimo di una cover mitica quale forma d’arte: “Ho discusso con i Beatles fin nei minimi dettagli per capire come doveva essere quella copertina. Ho capito che doveva rappresentare il momento della fine di un concerto, sul palco di un parco. Il mio contributo sarebbero state le sagome a grandezza naturale: quella folla magica”.

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