Agnetti. A cent’anni da adesso


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Vincenzo Agnetti, Ritratto di amante, 1971, 80 x 120 cm, Courtesy Archivio Vincenzo Agnetti

A Palazzo Reale di Milano, fino al 24 settembre è ospitata la mostra antologica dedicata a Vincenzo Agnetti (1926 – 1981), l’artista concettuale italiano che ha trasformato la parola in immagini iconiche e l’immagine in poesia. La mostra è promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale in collaborazione con l’Archivio Vincenzo Agnetti ed è curata da Marco Meneguzzo insieme all’Archivio Vincenzo Agnetti.

Sono esposte più di cento opere, realizzate tra il 1967 e il 1981, che nel loro insieme restituiscono un’immagine chiara del percorso dell’artista: la sua tensione poetica e visionaria, lo spiccato interesse per l’analisi dei processi creativi e per l’arte come statuto, il suo ruolo di investigatore linguistico e di sovvertitore dei meccanismi del potere, inclusi quelli della parola scritta, detta, tradotta in immagini limpide ed evocative.

La parola in tutte le sue opere non si limita dunque ai rapporti semiologici, come spesso accade nell’arte concettuale di quegli anni, piuttosto realizza immagini, suggerisce indagini, costruisce narrazioni. Agnetti utilizza il paradosso visivo e concettuale per creare cortocircuiti interpretativi pronti per essere elaborati e rivisitati dall’osservatore, affidando al pensiero di chi guarda lo sviluppo e il senso di quanto ha scritto e immaginato. Per lui è sempre stato importante che il visitatore continuasse a vedere la mostra, con gli occhi della mente, anche dopo essere uscito dalla galleria.

Sono esposti in mostra lavori particolarmente significativi dell’artista, come: Quando mi vidi non c’ero il suo Autoritratto: feltro grigio inciso a fuoco e colorato in compagnia di altri feltri, Ritratti e Paesaggi; Gli Assiomi: bacheliti nere incise con colore a nitro bianco che, attraverso paradossi, tautologie, illuminanti sintesi di pensiero, sono il contrappunto analitico della sua produzione; Il Libro dimenticato a Memoria, l’opera che maggiormente sintetizza la sua ricerca sulla memoria e la dimenticanza; La Macchina Drogata, la calcolatrice Divisumma 14 della Olivetti i cui numeri sono stati sostituiti con altrettante lettere dell’alfabeto, facendo seguire ad ogni consonante una vocale in modo che tutte le parole ottenute casualmente dalle operazioni, anche se prive di senso logico, fossero comunque supporto di intonazione. E accanto alla macchina drogata troviamo infatti una parte della sua produzione: semiosi, comete, dissolvenze e la bellissima istallazione dell’Apocalisse; Amleto Politico: 60 bandiere di tutte le nazioni del mondo che contornano il palco da cui l’Amleto di Agnetti arringa la folla, il monologo di questo Amleto Politico recitato dalla straordinaria voce di Agnetti che riesce a far parlare i numeri come fossero un discorso, perché l’Amleto Politico, come la macchina drogata e altre sue opere, è un’operazione di teatro statico.

Sono presenti anche alcuni lavori più significativi fatti utilizzando la fotografia, come l’Autotelefonata, Tutta la Storia dell’Arte in questi tre lavori, l’Età media di A, Architettura tradotta per tutti i popoli e Riserva di caccia.

Sull’uso della fotografia sono esposte opere frutto di procedimenti alterati e interrotti che esplicitamente alludono al rapporto mezzo-messaggio. Le Photo-graffie, carte fotografiche esposte alla luce e graffiate a raffigurare i paesaggi della mente occupano un posto particolare: sono tra gli ultimi lavori e tra essi troviamo Le Stagioni, accompagnate dalla poesia I dicitori.

Una stanza è dedicata all’istallazione 4 titoli surplace: quattro grandi sculture i cui titoli sono rappresentati da fotografie che sono quattro scatti di momenti della sua performance La lettera perduta.

Tra le opere che rimandano alla sua ricerca sul tempo, si ricorda XIV-XX secolo, quattro affreschi del quattordicesimo secolo su cui Agnetti è intervenuto con scritte lapidarie.

Viene inoltre analizzato il sodalizio con alcuni grandi artisti per i quali ha scritto e con i quali ha collaborato tra cui Manzoni, Castellani, Melotti, Claudio Parmiggiani, Gianni Colombo e Paolo Scheggi col quale ha firmato il Trono, lavoro a quattro mani di grande forza visiva e concettuale esposto a Palazzo Reale per la prima volta dopo quasi 50 anni dalla sua prima esposizione a Roma.

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