Il Secolo Breve. Tessere di 900


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Umberto Boccioni, Donna che cuce, 1906

Fino al 5 novembre prossimo, alla Fondazione Matteucci per l’Arte Moderna di Viareggio, è esposta la mostra dedicata al “secolo breve”, titolo che si richiama a Eric Hobsbawm, curata da Susanna Ragionieri e composta da 50 opere proveniente da collezioni private che sono esposte al pubblico per la prima volta.

Con il sottotitolo “Tessere di ‘900” si intende dar conto di una esposizione che propone una serie di testimonianze di rilievo assoluto del secolo scorso, come tessere di un mosaico che letto nella sua complessità evidenzia un periodo artistico tra i più fecondi e creativamente tumultuosi dell’arte italiana.

Nel percorso espositivo le nature morte di Thayat, Balla, Severini e De Pisis emergono per il sentimento di classicità di cui sono pervase, mentre le figure di Spadini e Campigli si contrappongono, pur nella comune impronta parigina, per l’evocazione di un passato colto e dal cuore antico. Il paesaggio, infine, si offre nei volti più variegati attraverso le suggestive visioni di Rosai, Lloyd, Guidi e Paresce. A questi si aggiungono Morandi, Guttuso, Viani e De Chirico, ognuno dei quali diviene una tessera di quel mosaico che prelude alla modernità.

Eric Hobsbawm, in “Il secolo breve”, condensa il Novecento in tre periodi, non esitando ad indicare il primo, compreso tra il 1914 e il ’45, come quello della “catastrofe” per le ferite sociali e le crisi economiche sofferte dall’Europa durante i due conflitti mondiali.
Se, però, si sposta l’analisi all’ambito artistico, la visione non è di un tramonto bensì di un’aurora. Nessun altro momento è stato, infatti, altrettanto fecondo e ricco di fermenti, al punto di rivoluzionare la ricerca con un impulso analogo a quello determinato ai nostri giorni dalla rete.
Portando la lancetta del tempo al 1909, all’alba di quello che qualcuno ha definito anche “il secolo delle speranze deluse”, quando Marinetti pubblica su “Le Figaro” il Manifesto del Futurismo, ci si avvede che la pittura italiana, lasciatasi alle spalle la lezione degli Impressionisti e di Cézanne, si apre ad uno dei momenti più dirompenti e felici, cambiando radicalmente volto. A voler essere concisi e pragmatici, verrebbe da dire che proprio nel ventennio seguente, a partire dalle ultime frange divisioniste, le tendenze e le avanguardie audacemente impostesi sul realismo ottocentesco imprimeranno tracce tanto profonde e marcate da orientare gli sviluppi del dopoguerra: dall’Informale di Vedova e Capogrossi, allo Spazialismo di Fontana. Alludiamo alla trasformazione visiva scaturita dallo stesso Futurismo e dalla Metafisica, nonché al recupero della forma operato da Novecento, movimento che, riallacciandosi alla tradizione, ha elaborato una nuova idea figurativa in grado di dialogare con il presente.

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