La Genesi di Salgado a Forlì


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Penisola di Valdés, Argentina,  2004, © Sebastião Salgado / Amazonas Images / Contrasto

Penisola di Valdés, Argentina, 2004, © Sebastião Salgado / Amazonas Images / Contrasto

La chiesa di San Giacomo a Forlì fa parte del complesso fondato dall’Ordine dei Domenicani nella prima metà del XIII secolo. Nel 2007 è iniziato un lungo percorso di restauro concluso con successo nel 2015. Oltre alla chiesa sono presenti altri quattro edifici: Palazzo Pasquali, il Convento dei Domenicani e quello degli Agostiniani e la Sala Santa Caterina. I Musei di San Domenico custodiscono la Pinacoteca Civica e da qualche anno i suoi spazi ospitano interessanti mostre. Tra le tante citiamo quelle di Silvestro Lega, Antonio Canova, Melozzo da Forlì, Adolfo Wildt, Steve McCurry e Piero della Francesca. A questi grandi nomi ora si aggiunge quello di Sebastião Salgado che sarà protagonista fino al 29 gennaio 2017 con “Genesi”.

Un lavoro colossale e sfiancante che il fotografo brasiliano ha congedato dopo dieci anni di lunghi viaggi e scatti in giro per il globo. Il finale è perfetto, laddove per perfezione si intende capacità di cogliere l’istante, empatia coi soggetti, studio meticoloso della composizione e degli infiniti riverberi della luce. Senza considerare il “dopo”, cioè quella che viene comunemente chiamata fase di post-produzione e che oggi, in epoca digitale, riveste quasi più importanza dello scatto medesimo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Chiunque si ponga per la prima volta davanti a queste fotografie resta esterrefatto, meravigliato, ipnotizzato, a maggior ragione con quelle di grande formato. Verrebbe quasi voglia di toccarle, di sfiorare ad esempio la coda della balena che emerge maestosa dall’acqua, di accompagnare i pinguini che in fila si tuffano nell’oceano, di accarezzare la pelle squamata della zampa dell’iguana che artiglia la terra, di respirare a fondo per smaltire le vertigini di paesaggi primigeni e incontaminati. Un bianco e nero che richiede un approccio francescano nell’essere affrontato. La superbia e la vanagloria non sono contemplate. La sensazione è che l’uomo sia nient’altro che una particella minuscola di fronte alla potenza degli elementi e delle bestie che sgorgano quasi tridimensionali dalla parete su cui sono appesi.

Nello specifico cos’è “Genesi”? Lo spiega direttamente il suo creatore: «Personalmente vedo questo progetto come un percorso potenziale verso la riscoperta del ruolo dell’uomo in natura. L’ho chiamato “Genesi” perché, per quanto possibile, desidero ritornare alle origini del pianeta: all’aria, all’acqua e al fuoco da cui è scaturita la vita; alle specie animali che hanno resistito all’addomesticamento e sono ancora “selvagge”; alle remote tribù dagli stili di vita “primitivi” e ancora incontaminati. Questo viaggio ha anche lo scopo di agire da monito affinché si cerchi di preservare e se possibile ampliare questo mondo incontaminato, per far sì che sviluppo non sia sinonimo di distruzione Finora avevo fotografato un solo animale, l’uomo, poi ho preso la decisione di intraprendere questo progetto e di andare a vedere il Pianeta spinto da un’enorme curiosità di vedere il mondo, conoscerlo».

A Forlì il pubblico potrà ammirare ben 245 fotografie, rigorosamente in bianco e nero, una selezione dello sterminato materiale che Salgado ha raccolto in questi anni viaggiando in Amazzonia, in Congo, in Indonesia, in Nuova Guinea, in Antartide, in Alaska, nei deserti dell’America e dell’Africa, nei ghiacciai del Cile e della Siberia. Paesaggi in cui è tangibile la presenza degli animali (le tartarughe giganti delle Galapagos o le zebre nella savana, solo per citarne due) e delle popolazioni indigene ancora vergini, non contaminate dalla modernità: gli Yanomami e i Cayapó dell’Amazzonia brasiliana, i Pigmei delle foreste equatoriali del Congo settentrionale, i Boscimani del deserto del Kalahari in Sudafrica, le tribù Himba del deserto namibico e quelle più remote delle foreste della Nuova Guinea.

Isola di Siberut, Sumatra, Indonesia, 2008, © Sebastião Salgado / Amazonas Images / Contrasto

Isola di Siberut, Sumatra, Indonesia, 2008, © Sebastião Salgado / Amazonas Images / Contrasto

Salgado è nato nel 1944 in Brasile ad Aimorés nello stato del Minas Gerais dove l’economia è basata sulla produzione di caffè, di latte, di soia, di canna da zucchero, ma anche di ferro, alluminio e altri minerali. Attività che necessitano di grande manodopera per fruttare. È lì che il giovane Salgado ha imparato che il benessere del mondo occidentale si paga a caro prezzo. Cresciuto, dopo aver sposato Lélia Deluiz Wanick (curatrice della mostra di Forlì), si trasferisce a Parigi e poi a Londra dove lavora in qualità di economista per l’Organizzazione Internazionale per il Caffè (l’infanzia che ritorna e che ritornerà in futuro per una campagna sociale promossa da Illy Caffè). La sua strada però è un’altra, lontana dalla routine degli uffici. Per fortuna lo capisce ben presto, così nel 1973 decide che Sebastião Ribeiro Salgado d’ora in avanti sarà un fotografo. Prima l’immancabile gavetta come freelance e per le agenzie (Sygma, Gamma e soprattutto Magnum) e più tardi la soddisfazione di una creatura tutta sua (e della moglie): l’Amazonas Images.

Memore di quanto osservato da bambino documenta le abitudini di vita e le condizioni degli indio e dei contadini dell’America Latina e delle tribù in preda alle carestie in Africa. Sono il preludio a due progetti che vedono impegnato Salgado per oltre quindici anni: “La mano dell’uomo” (1994), racconto che testimonia la fine della manodopera industriale su larga scala, e nel 2000 “In cammino” e “Ritratti di bambini in cammino”, due libri che parlano dell’uomo e dei suoi spostamenti. Restando in tema biblico, un “Esodo”, che anticipa la “Genesi”. Il percorso di Salgado sembra dirci che il destino dell’umanità sarà sempre quello di muoversi da un posto all’altro, con tutte le conquiste e le perdite del caso. Per fare sì che queste ultime si riducano è necessario che tutti gli esseri viventi (uomo in primis) vivano in stretto equilibrio con la natura che potrà essere conosciuta attraverso la tecnologia, ma mai imbrigliata, né tantomeno dominata. Basta osservare le immagini di Salgado per capire che sostituirsi a essa sarebbe soltanto una pia illusione.

Per info su “Genesi”: www.mostrasalgadoforli.it

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