Mario Merz. Attualità e modernità di un protagonista dell’Arte Povera


Stampa
Mario Merz, Igloo

Mario Merz, Igloo

Mario Merz resta ancora oggi, a tredici anni dalla morte – scompare il 9 novembre 2003 a Torino, mentre nasce il 1° gennaio 1925 a Milano – un artista molto presente nella realtà culturale italiana e anche internazionale, grazie alla moglie, Marisa Merz, anch’essa pittrice e performer, nonché riferimento della fondazione Merz, istituto museale unico nel suo genere. Infatti la ‘presenza’ oggi di Merz sulla scena artistica è avvalorata pure da questo spazio espositivo, ricavato da una ex fabbrica della Lancia nella periferia torinese (oggi edificio modernamente ristrutturato), dove periodicamente, dal 2005 a oggi, vengono allestite sempre nuove mostre di artisti mondiali celeberrimi, accanto alle stesse opere merziane, le quali vengono quindi circuitate in continuazione, sia per la mole fisica di igloo, pannelli, tavoli, neon, terricci, fascine, sia per l’enorme quantità di realizzazioni eseguite costantemente nel corso di tre-quattro decenni.

Aldilà di questa presenza continua nella città d’adozione, oltre importanti monografie che gli dedicano pinacoteche, accademie, fondazioni, musei, oggi, l’attualità e per tanti versi la classicità di Merz riguarda una produzione artistica-filosofica difficilmente classificabile. Diventato famoso, grazie alla cosiddetta “arte povera”, teorizzata dal critico Germano Celant alla fine dei Sixties, lo stile di Merz si configura quale approccio metartisticamente complesso al lavoro estetico, come del resto accade ai processi alternativi degli altri variegati esponenti del poverismo italiano, da Michelangelo Pistoletto a Giulio Paolini, da Janis Kounellis a Giuseppe Penone, da Lucio Fabri ad Alighiero Boetti, da Pino Pascali a Gilberto Zorio, da Mario Ceroli a Piero Gilardi, ciascuno dei quali ben presto individualmente coinvolto in tematiche personalissime.

In tal senso Merz riassume le svariate metamorfosi della stessa arte povera nel costante divenire: se si eccettua la body art, ogni altra corrente viene praticata, interiorizzata, plasmata, esternata da Merz, dal concettuale all’environment, dall’happening alla performance, dalla land art all’arte ecologica; persino la video-art rientra in un discorso di interazione con i materiali poveri del mondo naturale (legno, frutta, rami, foglie, eccetera). E, e anche la body art non è del tutto assente, data la fisicità dell’autore, dalla figura corpulente al volto ieratico, soprattutto durante la vecchiaia: la stessa figura imponente di Merz accanto alle opere altrettanto ‘maestose’, mentre le spiega davanti al pubblico nei vernissage, orienta simbolicamente il lavoro di presenza attraverso un macrocosmo non solo estetico, ma anche soprattutto socioesistenziale. Sotto quest’ultimo aspetto l’intera opera artistica di Merz si impone come emblematica di una realtà contemporanea ambigua, ossessiva, decadente, che vale la pena seguire dal Sessantotto fino al Nuovo Millennio.

Il fatidico Sessantotto resta infatti un anno-chiave per l’artista pronto a individuare una triade di segni o archetipi in funzione estetico-poetica: l’igloo, la lancia e la scrittura al neon. L’igloo di Merz (declinato con materiali eterogenei) nasce dalla voglia di racchiudere uno spazio che si espande: forma autoportante in massima tensione con valenze fortissimamente simboliche verso l’uomo e la civiltà della dimora all’universo. Realizzati via via in iuta, pietra, vetro, argilla, gli igloo, mantengono una precisa autonomia strutturale, e al contempo inventano una precisa dialettica contestuale con il vicino ambiente materiale.

Un soggiorno a Berlino, nel 1973, è per Metz un forte stimolo di inediti progetti esperienziali come il tema del tavolo inteso sia come luogo socializzante sia quale porzione spaziale levitatamente isolata. Il tavolo è il principale attore di una triade concettuale per rappresentare il mondo intero: l’igloo metaforizza lo spazio (ideale e raccolto), la serie di Fibonacci allegorizza la crescita armonica, il tavolo connota l’umana civiltà. Dall’intreccio di queste ‘immagini’ metalinguistiche con altre raffigurazioni merziane (pacchi di giornali e fascine di legna), emerge un’intensa produzione, soprattutto lungo gli anni Settanta e Ottanta, a cui s’aggiunge un ritorno alla pittura, sul tema degli animali, che a sua volta si mescola alla volontà di Merz nel ripercorrere costantemente il personale repertorio, tra coerenza interna e rapporti costruttivi con i luoghi attivi, espositivi, performativi.

Sempre più interessato a un’ampia condivisione sociale della propria utopia, dalla metà degli Eighties sino alla fine, l’artista si prodiga ad architettare grandi opere su scala urbana, realizzando installazioni di estremistica pregnanza visiva e socioculturale. Purtroppo, a differenza di altri artisti contemporanei avvolta da notorietà mediatica e da studi crescenti, la bibliografia merziana, infine, non è vastissima: per fortuna, a pensarci, è proprio la Fondazione Merz che in soli undici anni vanta un catalogo di una ventina di libri di, con e su Merz, consentendo quindi, ai cultori del’arte presente, una lettura critica e un’analisi quasi esaustiva dell’attualità e della modernità di un protagonista dell’Arte Povera.

Guido Michelone e Francesca Tini Brunozzi

Share Button

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *